La Notte di Natale e il viaggio della Madonna. Quel presepe nel borgo stipato e sconosciuto.

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Un’incisione carsica, una scalfittura nel paesaggio montuoso, aspro e ruvido, mitigato e coperto dai boschi, una fessurazione come se un’entità suprema avesse separato la montagna per consentire il passaggio del mito nella religiosità popolare, il varco geologico piegato alla narrazione fantastica in grado di dialogare con la montagna, con il suo “mistero” e stupire. Questa è la Via denominata della Valle (congiungeva la Valle Subequana con l’Altopiano delle Rocche prima del 1970), che conduce infine al presepe vivente del borgo, e lo vedremo, solca le pendici del Sirente e si insinua, in un luogo – topos che deve sorprendere e stupire anche se apparentemente fatto di niente ma che, viceversa, si fa largo nell’immaginario collettivo della comunità locale. Consegna il mito della Notte di Natale alla leggenda, al silenzio, che scende quando questa inizia a raccontarsi: accadimenti prodigiosi del soprannaturale, luce e buio, bufere di neve e la sfida alla montagna di uomini temerari: storie inconfessabili che sono lì davanti a noi, diventano fiabe, appunto, nell’affabulazione, si trascinano da secoli, si arricchiscono sempre, si cibano di parole nella loro morale, immortale, quando tutto accade, nella Notte di Natale. Via della Valle, l’incisione carsica. Meno nove gradi la temperatura, con Luigino Barbati e Angelo Santilli (figlio dell’ultimo mulattiere Antonio Santilli di Secinaro e del Sirente, scomparso recentemente all’età di 89 anni), che hanno organizzato da diversi giorni la carovana per il cammino con i cavalli lungo la pista, come fossimo dentro il film “Il Signore degli Anelli” ( la foresta che parla), ripercorriamo la mulattiera della leggenda e del mito che ha il suo attacco alla sommità del borgo di Secinaro, tira sinuosa a nord – ovest per infilarsi e sprofondare nella gola glaciale. Ripercorriamo gli antichi tracciati dei mulattieri in direzione del massiccio del Sirente, l’unico accesso consentito a dorso di animale per il trasporto della legna, ghiaccio, prodotti agricoli coltivati un tempo nelle quote più alte. Il sentiero con le rocce affioranti al suolo scavato dagli zoccoli degli animali, quasi a formare una sorta di gradoni, è stato armato nei primi decenni del secolo scorso in alcuni tratti da un muro di contenimento in pietre sul precipizio della valle. Gli uomini, si racconta, legati, ancorati alle corde, venivano calati giù e con una pietra alla volta hanno costruito il lungo parapetto che contiene il sentiero dai dilavamenti e dalle frane, e dare soprattutto sostegno a quell’economia di passaggio, mobile, delle genti di Secinaro in direzione delle terre alte e del massiccio del Sirente. In questo periodo, con la luna piena comunque si vedeva – raccontano – nella notte inoltrata, salivano i mulattieri per prendere la legna, nascosti dal buio, per evitare sanzioni (la campana sotto la testa del cavallo veniva silenziata con il muschio: un isolatore acustico) in due ore, e altrettante per scendere dalla montagna anche con gli innevamenti importanti, ma la coltre di neve non doveva raggiungere il sottopancia dell’animale che comunque si apriva il passaggio. La legna si tagliava con asce e roncole. Le fascine e i tronchi riuniti per la soma non andavano stesi, ma alzati, in verticale, poiché con le nuove nevicate dovevano essere individuati. La legna era vita nei lunghi inverni – dicono – si barattava con patate, fagioli e altri prodotti della Valle Subequana, con il pane di crusca o il pane di granturco che la Madonna in cammino portava con sé, nella Notte di Natale – raccontano – e adesso inizia la fiaba con la sua narrazione epica. Lei si fermò al Passo della Portella prima dell’abitato di Secinaro, al limite del bosco. Il Passo della Portella: due alte torri calcaree, falesie, con pareti di ex voto e segni profetici, serrano quasi a congiungersi allo stretto varco, nel luogo mitico di Maria in sosta, dove lì si è riposata. “La Preta della Madonna” così chiamata, che in seguito diventerà poi sito profetico, strategico della penitenza e delle processioni, ancora oggi reca la sagoma del suo corpo nella roccia e le impronte di un mulo, per avvicinare alla dimensione sacrale il lavoro dei mulattieri. Gli anziani si andavano a coricare sulla pietra, a stendere, per chiedere le guarigioni, le madri il ritorno dei figli dalle guerre. Il viaggio nella Notte di Natale della Madonna prosegue, il varco della Portella è superato, in cammino, ai suoi piedi si apre a ventaglio il presepe di Secinaro mentre scende per le rue strette e cordonate, i passaggi coperti e stretti, gli archi e le corti comuni, ma soprattutto la Madonna entra nelle case aperte nella Notte di Natale,  che così devono restare, con le  porte socchiuse.“ La povertà del Natale, non si butta il pane al cane”- dicevano – in quelle case siloniane di “Fontamara” annerite dal fumo di chi non aveva il camino e accendeva il fuoco al centro della stanza, famiglie di otto o dieci figli di “Cristo si è fermato ad Eboli” nel romanzo di Carlo Levi. Le stanze con le finestre piccole per ripararsi dal freddo nella cucina e in un’altra stanza al buio senza luce nel “Racconto degli Ultimi” di Pier Paolo Pasolini… Chi non aveva la legna si riscaldava e dormiva nella stalla con gli animali nelle grotte, lunghi cunicoli, scavate nel calcare e una tenda separava la porta di acceso, in via dell’Aia. La leggenda, adesso, volge al termine, nella Notte di Natale la Madonna incontra così la storia e le storie minori, locali, ma il “segno” del loro tempo, trascorso, è intatto, ricostruito, perché nulla vada perduto, se potrà questo nella cosmologia dei social e web titanici avere un significato, una pur minima riflessione, ma che in quell’esigua comunità di Secinaro, sappiamo, in quel lembo di paesaggio “distante” stipato e sconosciuto, nessuno, ha mai dimenticato. 

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