La palma: mito e sigillo di gloria. La Domenica delle Palme.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

I greci la offrivano ai vincitori o ai guerrieri che si distinguevano nelle imprese militari, d’arme. La palma: sigillo di gloria, “ bene supremo degli uomini” narra Pindaro, poeta lirico greco ( 518-438 a.C.) nella prima delle sue Odi dedicata alle competiziono olimpiche, e punto di riferimento delle grida di tripudio delle folle acclamanti, benedicenti; simbolo di vittoria, proiezioni delle qualità personali, fisiche e quindi morali; mito dell’immortalità poiché proveniente da un regno vegetale che secondo gli stessi greci era il “ principio” l’origine dei tempi più remoti quando l’uomo e la natura s’incontravano e si ascoltavano. Da simbolo pagano la palma invece divenne albero della vita per i cristiani “disegno spirituale” delle prime iconografie nelle miniature medioevali che collega terra, cielo e inferi, si espande con le sue fronde, nutre l’universo dei complessi significati, simboleggia infine Cristo. È segno distintivo, ancora, nel martirio dei Santi del cristianesimo. La palma di resurrezione tenuta in mano, mostrata di nuovo torna come sigillo, ma in questo caso di un destino crudele a cui andavano incontro i martiri trovando la morte nella “missione” di vittoria spirituale, per la fede. Ma prima ancora compare nei sarcofagi delle catacombe: il ramoscello di palma scolpita. Inizia così, la sua affermazione iconografica e dilaga persino in un vangelo apocrifo (non autentico): narra che proprio sotto una palma la Madonna si era fermata a riposare e dare un po’ di ombra al “Divino Infante”, a Gesù. La palma si chinò, scese con le sue chiome per offrire i suoi frutti. La leggenda vuole che Gesù la benedisse e la scelse, da quel momento, quale simbolo di vittoria sul mondo, da utilizzare però molti anni dopo, quando uno di quei rami avrebbe superato la porta di Gerusalemme nella “Domenica delle Palme” come vuole ancora oggi la tradizione popolare che guarda a quel giorno evento, giorno dei presagi. Se la giornata è chiara, si racconta, l’annata agricola sarà buona, ricca di raccolti; se invece sarà piovosa la “Domenica delle Palme” indicherà un’estate asciutta, magra, scarsa di raccolti, difficile da sopportare per la famiglia contadina che un tempo si preparava così. Le vecchie palme, secche, dovevano essere bruciate nel camino: si leggevano i segni delle foglie che scoppiettavano freneticamente, si consumavano rapidamente mentre si restava un ascolto per trarre ancora auspici per le semine primaverili dell’imminente stagione agricola. Nei campi, invece, si portavano croci e candele, simboli di protezione del calendario locale, benedette in chiesa, aiutavano i raccolti ”quando la natura si risvegliava”: bisognava mitigarla e propiziarla con le offerte. Questo periodo, quindi, sancisce e definisce i contorni dei suoi significati di “passaggio” ( la Pasqua), rinascita della vegetazione che in qualche chiesa “ sepolcro” ancora si potrà vedere, nella “Settimana Santa”, con il grano che germoglia al buoi dentro particolari recipienti per assumere un colore chiaro, di purezza, di strabiliante anteprima della natura: ma è quello un segno di lutto, antichissimo di origine greca, ritualizzato così per la morte di un eroe,  ma trascinato  per la nostra religione.

L’immagine.

Il grano, al buoi, inizia a germogliare all’interno di una chiesa.