Immagini storiche di Amalia Sperandio, fotografa aquilana del primo Novecento.
Piante storiche della città dell’Aquila con la piazza del mercato.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

Risalivano, all’alba, il borgo della Rivera, passando davanti alla meridiana ( orologio solare, una particolarità dello stile romanico aquilano) della facciata di San Vito: l’orologio estivo e invernale dei contadini degli orti e dei campi del fiume Aterno, e raggiungevano, salendo la “costa” citata da Buccio di Ranallo (L’Aquila, 1294 circa – L’Aquila, 1363), il cosiddetto “ mercato minore” di Piazza Duomo. Lì bisognava “prendere il posto”, allinearsi con i bassi banchi di legno con sopra i prodotti degli orti, richiamare l’attenzione dei “signori”, come da tempo immemorabile. La piazza del mercato : compressa dalle bancarelle, ma segnata nel suo asse virtuale centrale, baricentro rispetto alle collocazione delle stesse che riempivano la piazza: una piccola striscia di commercio, il mercato delle donne, motivazione economica di una vendita al minuto, ma anche posizione di privilegio nella geografia della piazza; valore simbolico quindi nello spazio urbano ma particolare uso antropologico di un giacimento culturale che ha nel suo ventre l’antico baratto medioevale della città. “ vendevamo persino lo renniccio – raccontavano le donne – la rena per pulire il caldaio in rame, insieme alle erbe aromatiche, le nocciole, il vischio”. Il mercato e “l’arte del fogliame” al centro della piazza, del mito, del potere, sì , di quei “fogliaroli e gli ortolani di questa città di Aquila” è scritto, il loro “potere” nel commercio ambulante, ma solo per qualche ora…

La scheda

“ Gli ortolani di questa città di Aquila – scrive Emidio Mariani ( 1777 -1850) – aveano i suoi Capitoli ed Ordinazioni avallate dal Regio assenso da tempo immemorabile senza sapersene l’epoca precisa…”. Gli ortolani erano riuniti nella confraternita del SS. Sacramento e S. Giuseppe. Poi, nei “ Capitoli dell’Arte degli Ortolani” una sorta di codice etico della categoria dei “ fogliaroli”, si traccia il profilo e l’organizzazione dei contadini che coltivavano gli orti, un genere ben distinto dai coloni e affittuari, “ protetto”, poiché doveva approvvigionare quotidianamente la città dell’Aquila con i prodotti di stagione, coltivati appena fuori le mura, trasportati e venduti nel mercato di Piazza Duomo.

Questi, in sintesi, gli elementi del “ Capitolo”.

Nessuno può esercitare l’arte se non è prima iscritto al libro della confraternita. Il costo di iscrizione è di 10 carlini; i cavalli non possono pascolare negli orti; è vietato dare in fitto ai pastori gli orti; le riunioni si svolgono “ fuori Porta Rivera”, nel luogo denominato “Collicello”, dopo aver dato un segno convenzionale con la campana della chiesa: “ ivi si propone e a voce si risolve”; è vietato lavorare nei giorni di festa; in caso di arresto gli ufficiali dell’arte sono autorizzati a visitare il confratello in carcere (se malato); è obbligatorio per tutti gli iscritti accompagnare sia alle nozze che ai funerali; la confraternita era regolata dagli ufficiali che venivano eletti ogni sei mesi mentre il sindaco, era votato da tutti gli ortolani, insieme a un “chiamatore”, che aveva il compito di avvisare i confratelli per le riunioni. Inoltre 8 eletti dovevano riferire su “ tutto ciò che spettava alla compagnia”. Infine l’organizzazione esaminava la “supplica” presentata per iscritto da chi voleva essere ammesso. Si ascoltava l’ortolano e “sentendolo bene istruito” , lo ammettevano a scrutinio segreto, e se riceveva la maggioranza dei voti, entrava; il “sacco” ( il saio portato dalla congregazione), invece, era offerto dalla confraternita del fogliame ( erano bianchi con il rocchetto rosso), oltre al privilegio di portare la “coltella”, il falcetto, blasone e segno di identità, per tagliare le verdure: veniva legato al “sacco”, sulle spalle degli ortolani.

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