La pieve delle indulgenze e della boscaglia… Gran Sasso d’ Italia.

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

La chiesa di San Clemente al Vasto denominata “in fratta” per via della vegetazione che avvolgeva l’intera area geografica, costruita su una grotta e per questo rupestre come altri insediamenti religiosi contigui nell’area, bassa e schiacciata al suolo nel suo disegno primitivo, è citata nell’estimo delle chiese nel 1313. È posizionata su un rilievo roccioso, alla sommità della lunga incisione carsica e valle appenninica che costeggia il versante occidentale del Gran Sasso d’Italia nella località denominata “Capannelle” e termina, la lunga valle, in prossimità del borgo di Assergi. Dalle tasse e decime si può ricavare la rilevanza dell’insediamento intorno alla metà del XV secolo. Su un’altura terrazzata dunque la pieve di San Clemente. La facciata ha l’ingresso in un arco incerto a tutto sesto di pietre lavorate e riposizionate, autoreggente, con altre pietre ma prelevate queste dal suolo. Nell’edificio religioso si accede attraverso in locale d’ingresso, una corte. Le aperture esterne delle facciate e in particolare lo stipite in pietra svasato (al centro dell’abside) in un unico bocco calcareo, strombato, tagliato obliquo che permette alla luce un’entrata limitata all’interno. Una sorta di finitura di carattere medioevale, così gli stipiti di altre aperture sulla facciata della chiesa: strette, con dubbi architravi e pietre di concio di fattura primitiva nella lavorazione. Le finestre, fessure di luce, difensive, quasi a imitazione dell’architettura religiosa romanica. L’intera chiesa è costruita con pietre e calce, la volta a botte è presente nell’aula religiosa, più volte ricostruita e infine ristrutturata in cemento e pietre. L’abside, che all’interno era affrescato, costituisce certamente la novità di questa architettura religiosa della cultura armentizia dell’intera zona nell’insediamento umano. Un altro elemento di rilievo della struttura è l’architrave ben conservato in pietra lavorata che sorregge la cortina dell’ingresso alla chiesa, con le sue due spalle lobate di rinforzo ai conci sbozzati e uniti con calce, verticali, degli stipiti : sovrasta la porta e all’esterno una nicchia un tempo affrescata. Il cordolo del tetto in cementi armato, così ricostruito recentemente, mentre le pietre unite tra loro con la caduta della calce si presentano nelle superfici esterne in pietra a secco con la perdita appunto di collante in malta. L’intera struttura evidenzia l’utilizzo di materiali poveri: la calce delle calcare e fornaci, oltre le pietre prelevane nelle macerine, ossia i cumuli di pietre per rendere i terreni fertili. Il pavimento all’interno è costituito da mattoni e, sul fondo dell’aula un altare, rialzato, essenziale, in blocchi in pietra lavorati e uniti, che poggia su un piano di poco elevato rispetto al pavimento della pieve. Nell’abside è possibile notare ancora oggi esili tracce di intonaco e pigmenti colorati di un affresco che secondo alcune fonti rappresentava la “Resurrezione del Signore”, culto solenne e intimo per la comunità rurale praticato con una processione notturna del clero e dalle famiglie di Assergi che, con i lumi accesi, raggiungeva l’edificio religioso al fine di “lucrate l’indulgenza plenaria” nel sito della religiosità popolare per eccellenza dell’ area geografica, confermato questo rito dal pontefice Urbano VIII, attraverso l’emanazione di un decreto religioso. Nel giorno di Pasqua la chiesa, penitenziale, e degli ex voto per grazia ricevuta, era raggiunta dalla processione.