Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

” La medicina dolce”, chiamata anche cosi, affonda in un’esperienza di secoli, addirittura precipita giù, in fondo, fino a cinquemila anni fa ed è documentata dalla medicina cinese, dalle regioni dell’Himalaya; pezzi di storia dell’umanità e del desiderio dell’uomo di superare e malattie comprovare, nella sua efficienza terapeutica, le difese immunitarie dell’organismo: le piante medicinali ( non c’è malattia che non abbia il suo farmaco a base di erbe) e i loro principi attivi, nel gambo, nella corteccia,nelle foglie; oppure nei fiori, nei frutti o nelle parti sotterranee, come le radici, i tuberi. Se usate correttamente offrono possibilità terapeutiche dentro l’universo ancora tutto da inventare della fitoterapia ( settore della farmacoterapia che si occupa dell’impiego, a scopo curativo, delle piante medicinali). Le erbe e il loro impiego, quindi, medicina erboristica, tradizione dominante un tempo delle culture locali, sintesi di scienza, religione e filosofia, si fondono, in una saggezza trasmessa oralmente per guarire e dare longevità all’organismo, stimolarlo, drenarlo, disintossicarlo come ci dice l’ultimo dei raccoglitori, “saggezza” delle erbe medicinali, nel suo ” tempio”, un capannone sotto il borgo e le grotte di Stiffe ( Comune di San Demetrio né Vestini), che conserva, stipate, un’enorme quantità di piante essiccate insieme a un bilancino di pressione che il “profeta” non usa più, sostituito dalle sue bilance, le mani. Querrino Valzelli, ci diceva, classe 1920 ” Tutti gli amici miei mi hanno lasciato, io forse sono sopravvissuto grazie alle erbe”. Così esordisce, ci accoglie, ed entra subito in argomento: ” Non mi sento tanto ben, ho preso una tazza di biancospino, ce ne vogliono due o tre al giorno; è un infuso, serve per la pressione, per il sistema nervoso e per valorizzare il corpo. Il Biancospino si raccoglie il mese di maggio e quando iniziano ed uscire i boccioli della pianta, non bisogna aspettare il fiore, vanno subito colti. Li faccio seccare all’ombra, in mazzetti, rispettando una posizione geografica, a nord. E’ una pianta senza paura: si può prendere senza avere timore, non lascia residui dentro l’organismo”. Il Biancospino ” la pianta del cuore” così chiamata, della circolazione coronarica, nutre il miocardio, riduce le sintomi ansiose, facilità il sonno. Querrino: ” Sono più di trent’anni che raccolgo le erbe, adesso ho 85 anni. Me ne andavo, giravo, sopra il Sirente, a “Canale”, e poi riuscivo a Rocca di Mezzo, svalicavo portando centinaia di erbe. Prendevo la Genziana, ma prima vedevo la Belladonna dalle sue belle bacche. Insieme alla Genziana, nella stessa radice, cresce il “veratro” ( velatro, pianta perenne), che è velenosissima. Tante persone sbagliano, non sanno separare le radici e rischiano l’avvelenamento. La genziana è anche febbrifuga: toglie la febbre con un infuso e un decotto; è forte. La dose è di un litro d’acqua e 40 grammi di Genziana”. Infine Guerrino conclude:” Alcune erbe devono essere arieggiate, appese al filo; altre su una grata di ferro, stese, ma non al sole. A Stiffe la raccolta parte in primavera, e poi per tutta l’estate: seleziono le erbe, le metto nelle buste, nei sacchetti, e di volta in volta le prendo quando mi servono. La gente di Stiffe dice: ” Ma questo Guerrino non si ammala mai, compreso il mio medico”.

 

Un altro paesaggio possibile

E’ il paesaggio che si spalanca, degli infusi e delle pozioni medicinali; dei preparati, miscele e miscugli “dell’immortalità”; delle ricette, intrugli e tisane che allungano la vita, dispensano dal male, preservano il corpo e la mente, allontanano l’incubo delle malattie, ma soprattutto, secondo gli antichi guaritori erboristi, sconfiggono il dolore attraverso i principi attivi di gambi, radici, frutti, cortecce, fogli e tuberi che crescono intorno a noi, da sempre.
E’ una lotta antica, questa, primordiale, arcaica, delle erbe della medicina dolce popolare nella loro efficacia terapeutica, nell’attribuzione medicamentosa e guaritrice, da secoli conosciuta e stratificata soprattutto nelle culture marginali, quando la malattia viene sopraffatta dallo stimolo delle difese immunitarie dell’organismo, aiutate dalle erbe.

La medicina erborista quindi, un universo stimato in 50.000 piante impiegate a scopi curativi su cui si fanno largo la fitoterapia (settore della farmacopea che si occupa dell’impiego, a scopo curativo, delle piante medicinali) ed anche una schiera di “sacerdoti” raccoglitori di erbe medicinali che in questo periodo si muovono nei “giardini” botanici del Gran Sasso, del Sirente, e soprattutto della Maiella, alla ricerca del cordone ombelicale che lega l’uomo alla terra, alla ricerca del desiderio di comprovare l’efficacia delle piante medicinali che a volte vengono preparate in un ordito cerimoniale, quasi magico: segrete e preziose piante fatte seccare, “arieggiate” e orientate secondo un disciplinare archetipo dei punti cardinali e acque di sorgenti raccolte solo ad una quota altimetrica, nella profondità delle ore notturne, attraverso formule verbali che ricordano protocolli incantesimali.

Infine la lavorazione delle erbe, con il bilancino in rame, tanto misteriosa, dal sapore arcano, che si “celebra” in un rito inconfessato, privato, davanti al calendario lunare e a quelle ore, prestabilite, del giorno e della notte, che danno sostanza alla cerimonia delle pozioni: una dimensione magico – religiosa si afferma, filosofica, tra le piante e il ciclo del tempo, volutamente nascosta dalla narrazione della tradizione popolare che ne è depositaria, poco conosciuta, ma vitale, ininterrotta da generazioni di famiglie – curatori erboristi che la tramandano, tenuta segreta, criptata, poiché “medicina” non ufficiale, ma che racconta invece storie mitiche di longevità e saggezza nel ventre di una natura appenninica guaritrice e consolatrice dei mali della terra.

La pianta della belladonna e lì allungata, distesa sul tavolo come un reperto da interrogare, “ascoltare”, vellutata e invitante al contatto, in un locale di un borgo dell’Aquila, pieno di vapori, in penombra e attraversato da fasci di luce, con ampolle e albarelli per le spezie, vasi in vetro, polveri, essenze e paste, serpentine in rame e strumenti costruiti in ottone in quell’ambiente, una sorta di antro, forse di Esculapio, dio della medicina. La belladonna è invece micidiale, velenosissima in ogni sua parte e viene infine tagliata, lentamente, dentro un cerimoniale, con il “sacerdote” officiante – guaritore che la commenta senza muovere la testa, senza distrarsi e ne elenca, quasi in un interminabile catalogo, le qualità per l’organismo, ma anche i punti di non ritorno. nel suo verde cupo rossastro, delle foglie a punta e nei fiori rossi vermiglio che assumono variazioni cromatiche continue, seducenti.

Della famiglia delle Solanaceae Atropa belladonna, il suo nome ha origini dall’uso che le donne ne facevano per rendere bella e attraente la pelle del volto. E’ questa la pianta immancabile degli avvelenamenti negli intrighi di corte, simbolo per eccellenza del bene e del male, della sfida , delle capacità degli erboristi di trasformare il veleno tossico e nocivo di cui la pianta è ricca, cioè l’Antropina, in siero e rimedio omeopatico che agisce da calmante per i dolori dell’utero e viscerali , nelle nevralgie facciali e in alcune infiammazioni acute.  E’ la regina delle praterie, officinale, alta fino a due metri, e svetta su tutte le altre, per essere toccata come in un incantesimo, e poi rendere l’immortalità nei boschi incantati dei nostri desideri.

Alcune piante e le loro qualità curative

Epatica o fegatella. E’ una piccola pianta perenne, molto rara in pianura. Più diffusa sulle montagne. Toccasana per le malattie epatiche.

Erba viperina. Comune nei terreni coltivati, orti, giardini, ruderi ed incolti. Gli infusi sono molto efficaci per calmare la tosse stizzosa delle bronchiti sfruttando le qualità emollienti dei fiori.

Gallio bianco. La pianta è un buon rimedio contro le crisi convulsive. Un tempo veniva usata dai pastori per far coagulare il latte, dato l’alto contenuto di sostanze acide.

Camedrio. Ha spiccate proprietà aromatiche, toniche e diuretiche. A scopo terapeutico viene utilizzata contro la gola arrossata, contro la cattiva digestione e nelle gastralgie.

Timo serpillo. Proprietà aromatizzanti, digestive, depurative, balsamiche, tossifughe e stimolanti. Viene usato contro le paralisi, le malattie nervose, reumatismi e bronchite.

Farfaraccio. Si trova nelle zone montane e submontane, in luoghi molto umidi, lungo i ruscelli e fossi. Viene usata nella medicina popolare come pianta tossifuga.

Iperico. Utile per il sistema nervoso specie sul midollo e sui nervi sensitivi, è indicato per la sua azione cicatrizzante: in particolare per le ferite prodotte da strumenti taglienti.

Genziana maggiore. Cresce nei prati pascoli delle regioni montane e subalpina. E’ una delle più valide piante digestive e febbrifughe. E’ un rimedio ad azione elettiva sull’apparato gastro-enterico ed il decotto delle radici è indicato nelle gastriti croniche e nelle affezioni addominali.

Salvia dei prati. Ha proprietà antispasmodiche e antisudoriferi; nella medicina popolare viene usata nelle diarree, nei sudori notturni, nell’asma e nelle perdite uterine.

Cuscuta. Proprietà : astringenti e lassative. Stimola il funzionamento delle cellule epatiche.

Salvia s
clarea. Nella medicina popolare si usa per eliminare il gonfiore alle gambe e contro l’infiammazione agli occhi.

Tarassaco. Viene usato per stati di congestione epatica, dispepsia a colecistopatia, stipsi e cefalee depressive.

Olmaria. Viene usata molto nella medicina popolare per l’azione diuretica, per l’eliminazione dei calcoli del rene e della vescica.

Achillea. A scopo terapeutico si usano le sommità fiorite ed anche le foglie. E’ efficace nella cura dell’ulcera e nelle gastriti ribelli.

[Le informazioni contenute nei brani sono basate sulla fonte orale elaborata dalla ricerca sul campo, di carattere etnografico, e non costituiscono indicazioni mediche].

 

 

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