Testo di Vincenzo Battista.

E’ il rito antropologico del gesto, antico, che si compie senza echi e proclami, essenziale avvicina e segna un passaggio austero, carico anche di richiami lugubri e drammatici: le ceneri, posate sul capo, tratte da rami di ulivo o palme benedette dell’anno precedente. Ferma e risoluta, questa formula cristiana ci parla dell’origine e della fine; della realtà e dell’essenza umana; della vacuità delle cose e dell’invito al loro distacco nell’ineluttabilità della morte, richiamo solenne contro la materialità; ha origine nella Genesi, il primo Libro della Bibbia. Ma prima delle Ceneri sul capo, i rituali richiamavano i penitenti che dal giorno sacro, iniziale e premonitore della Quaresima, si riunivano e vestivano una tunica d’ispido cilicio cosparso di cenere, si ritiravano nei monasteri fino al Giovedì santo, giorno della riconciliazione.
Era la pubblica penitenza per le gravi colpe, attiva e ricorrente fino al VII secolo. “L’arco” delle Sacre Ceneri così si continua ad aprire, si carica nella storia, ancora si tende, fino a sfiorare il mondo romano nell’epoca repubblicana, e cercare un punto di maggiore contatto ed infine incontrarlo nell’esclusività delle famiglie nobili e delle loro sontuose cerimonie allestite con pire di preziosi legni: cremavano così i loro congiunti i romani, in un rito di antica tradizione, addirittura con gli ustores, schiavi destinati a quel compito.
Le ceneri riposte nel luogo della sepoltura in camere funerarie, oppure dentro le domus, in apposite teche. Ma oltre il gesto delle sacre Ceneri, è tempo di Quaresima. Scende una sorte di stasi in questa liturgia cattolica che si colora di viola, senza fiori, suoni, segni di gioia, periodo sacro di quaranta giorni questo, precetto di digiuno e astinenza che prepara la Pasqua: per i cristiani è “L’imitazione di Cristo” nel deserto, la lunga espiazione trasmessa nel mondo popolare e adottata dalla tradizione orale con un “calendario” allegorico, rappresentato da un feticcio, tagliato con le forbici su un vecchio pezzo di carta, e con sette piedi, incollato poi sul fianco del camino:“ La vecchia”.
“Quella vecchia – scrive Antonio e Nino ( etnologo e archeologo) , Pratola Peligna , 1833 – 1907, è la Quaresima, e i sette piedi, le sette settimane. Ogni domenica si amputa uno di quei piedi”, per tutto il periodo di magra, di astensione delle carni, tra penitenza e digiuni fino alla rinascita della stagione, dei frutti, dei raccolti, la Pasqua – messaggio : “attraversamento” materiale e simbolico questa, limite temporale “tra il buio e la luce”. “S’usa anche di tendere una cordellina – continua De Nino – da una finestra all’altra del vicinato: in mezzo vi pensola la Quaresima, che è una pupa di stoffa e pezze, con sette piume attorno, con la conocchia e il fuso in mano: di qua e di là, lungo la cordellina, sono legati una saracca, una sarda, un pezzo di baccalà, un aglio, una cipolla, un carbone e un tizzone, un peperoncino rosso: simboli, tutti, della magro della Quaresima. Ogni domenica poi si pela una delle sette penne; e sabato santo, al suono delle campane, si dà fuoco a una filza di castagnole, che mandano al diavolo la Quaresima e la sua magra dispensa” dell’anno agricolo trascorso quando termina appunto la Quaresima, come tanti, e tanti altri che si ricordano nel patrimonio immateriale dei beni culturali di queste terre antiche, dell’Abruzzo interno.

Fotografie tratte da un libro d’epoca. Quando le maschere si tolgono, è Quaresima.

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