La ricerca. Il Fucino e il suo destino.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

Il testo è stato pubblicato nel volume “Il Fucino: da pescatori a contadini” di Vincenzo Battista.

Il lavoro di studio, di analisi, attraverso il recupero della memoria, ha permesso di ricercarne gli aspetti salienti, i termini, i modi, i tempi della transizione: i valori complementari e oppositivi di questi due mondi, delle sopravvivenze (pescatori e contadini del Fucino).

La ricerca si è fondata sostanzialmente sui rapporti tra uomo e ambiente in un territorio dalle molteplici valenze, attraverso la ricostruzione delle vicende storiche e sociali delle comunità, per rilevare tutte le dinamiche tipiche di una dialettica culturale che si instaura tra paesaggio e cambiamento.

Attraverso l’analisi dei fondamentali processi sociali, la ricerca ha evidenziato i contesti di disgregazione ma anche di duttilità culturale.

La ricerca ha rintracciato nei fatti della memoria la storia del territorio, cioè tutti quei tratti peculiari delle due culture mediante l’individuazione di valori appartenenti non solo ai singoli individui ma anche alla tradizione comune o per meglio dire alla memoria storica.

Il ruolo di questa memoria fondante e centrale per la salvaguardia delle identità è stato messo in evidenza attraverso la fonte orale.

La ricerca, quindi, ha evidenziato così il patrimonio collettivo di quest’area rilevandone i principi etici, gli strumenti simbolici, per arrivare a conferire un significato e un valore diverso rispetto alle fonti disponibili.

Partendo dalla memoria collettiva ufficiale, elaborata nelle società stratificate e complesse, espressa nei monumenti, il lavoro sul campo, attraverso i dati raccolti sul terreno e il contatto diretto con le comunità locali, ha prodotto la riscoperta e il recupero di quell’altra memoria ufficiosa che è patrimonio di tutti.

L’operatività di questa memoria nei processi sociali è stata messa in evidenza dal racconto della quotidianità, della vita degli individui e dei gruppi familiari.

Da questa fase che registra e tramanda anche gli eventi, è stato tratto il materiale per la ricostruzione di processi di più vasta portata che interessano questo territorio e le comunità che lo vivono.

Il prosciugamento del lago, iniziato secondo alcune fonti il 10 luglio 1854, costato quaranta milioni di lire, ad opera dell’imprenditorialità del principe Torlonia, permise di costituire un latifondo di 15.775 ettari che fu diviso in 497 appezzamenti colturali regolari di 25 ettari ciascuno.

Diecimila contadini, contro il centinaio di pescatori che sfruttavano precedentemente il lago, iniziarono a coltivare quelle terre con un reddito di cinque milioni di lire annuo in favore dei Torlonia.

A fronte di questa realtà ne emerge un’altra, quella di Avezzano, sbocco unico e naturale di decine di Comuni del territorio circostante, nodo ferroviario importante che nel 1871 aveva appena cinquemila abitanti e nel 1914 circa tredicimila residenti, tanto da essere la terza città per popolazione della provincia dopo L’Aquila e Sulmona.

La ricerca, tenendo conto di questi dati essenziali, oltre agli apporti interdisciplinari, ha meglio definito e contestualizzato il rapporto tra la città di Avezzano e le terre del Fucino.

Il lavoro di studio e approfondimento ha permesso la ricostruzione di  fenomeni come la occupazione delle terre del latifondo chiarendo domande come: da dove venivano coloni e mezzadri, chi erano e prima ancora come furono realizzati i lavori di prosciugamento, chi ci lavorò, con quali tecniche, strumenti; la vita nei cantieri di lavoro, la vita degli operai; come apparve il fondo del lago, che cosa vi fu rinvenuto, come furono tracciate le strade di accesso, come fu resa possibile la vita sui singoli appezzamenti da coltivare, come furono costruite le case.

E, ancora, come si trasferirono le famiglie, come era la nuova casa, a quali bisogni doveva rispondere, quali attrezzi, utensili, animali, macchine venivano usate; come si distribuiva il lavoro tra i componenti la famiglia; quali erano i luoghi di incontro, come si organizzavano le azioni tradizionali della semina e del raccolto, come si svolgeva il ciclo annuale in questa nuova realtà, quali i poli di attrazione e i mercati per la vendita dei prodotti o l’acquisto delle derrate alimentari.

E ancora la ricerca ha chiarito e ricostruito il mondo della famiglia, della vita quotidiana su queste terre, le influenze culturali, le tecniche di manutenzione della casa, degli attrezzi, dei carri, la cura degli animali, l’eventuale artigianato familiare, la vita delle donne, i momenti salienti della stessa vita delle persone, la nascita, il matrimonio, la morte, i rapporti tra le famiglie.

Lo studio articolate nell’indagine, attraverso la ricostruzione del processo della più ampia ruralizzazione della Conca del Fucino attuata con il recupero delle terre sommerse dalle acque del lago e di quelle acquitrinose circostanti, ha prodotto in una prima fase la convivenza delle due culture originarie del territorio: quella dei pescatori e quella dei contadini pastori.

Successivamente l’analisi delle vicende ambientali e sociali ha evidenziato i termini problematici della scomparsa della cultura dei pescatori e l’affermarsi di centinaia di aziende agricole sui 16.507 ettari di terreno bonificato.

L’indagine su questo “nuovo mondo” ha accertato gli elementi costitutivi: quelli mediati dalla precedente cultura e quelli del tutto innovativi capaci di dare un particolare carattere alla ruralizzazione dell’area del Fucino in chiave di economia industriale del paesaggio Fucino.

Partendo dalla realtà del prosciugamento, l’analisi degli eventi successivi nell’arco di tempo di un secolo, ha preso in considerazione il nuovo assetto territoriale e le influenze anche extra regionali che ne determinarono l’organizzazione paesistica e del lavoro, l’affermazione e la durata della sua supremazia su altri fenomeni sociali e del mondo del lavoro.

In questa fase dello studio sono stati evidenziati gli aspetti connessi a questa nuova realtà contadina, dai punti di contatto e di diversificazione con il tradizionale mondo contadino e dell’entroterra montano abruzzese, alle forme moderne dell’azienda agricola per l’utilizzazione della terra fino alle lotte agrarie degli anni Cinquanta.

Tutto questo anche in riferimento ad avvenimenti più ampi come il terremoto del 1915.

L’analisi di questi temi, anche attraverso apporti interdisciplinari e con gli strumenti della ricerca sul campo, ha sottolineato gli aspetti antropologici della vita degli uomini, delle famiglie, delle comunità locali.

lo studio e l’analisi del territorio della Marsica in considerazione, tra l’altro, anche le descrizioni dei viaggiatori stranieri nell’Ottocento come documento di particolare valore antropologico laddove la narrazione mette in evidenza, a volte anche in termini romantici, la vita dei paesi, gli ambienti familiari, le storie delle persone, le credenze, la religiosità.

Allo stesso modo, anche quelle descrizioni dell’ambiente naturale che documentano l’esistente prima del cambiamento e delle trasformazioni verificatesi nel corso del secolo presente.

In particolare, per il territorio in esame, la ricerca dei resoconti dei viaggiatori stranieri, ha messo in evidenza gli elementi di coesistenza e di opposizione degli ambienti di terra come la montagna (le cime del Velino, i centri pedemontani, la Magnola, la Serra di Celano e gli estesi piani) e le valli utilizzate per la pastorizia e l’agricoltura, con quelli d’acqua come il lago Fucino e l’attività della pesca che vi si esercitava.

Numerosi documenti d’archivio, resoconti ed atti amministrativi, studi e testimonianze storiche, permettono di ricostruire le vicende della trasformazione dell’unità socio culturale rappresentata dalla Marsica.

Gli eventi profondamente determinanti che hanno portato a rivolgimenti dell’assetto sociale e abitativo e che hanno dato vita a fenomeni di continua riorganizzazione degli elementi storici, demografici, tradizionali sono stati ricercati attraverso lo studio del rapporto società-economia-territorio con gli strumenti interdisciplinari delle scienze specifiche che si occupano di questi temi.

La ricerca ha evidenziato una storia subalterna che spesso si legge nei segni, nei gesti delle comunità che hanno vissuto questi rivolgimenti e che ne conservano la memoria storica nel racconto della fonte orale, nelle azioni della vita quotidiana, nell’uso che attualmente fanno dei luoghi, degli oggetti, dei percorsi sacrali. Dentro la storia di questo territorio vive un’altra storia che si esprime con documenti e testimonianze altrettanto significativi e nelle relazioni dei pubblici amministratori, nei rogiti notarili, nei registri comunali, nelle espressioni architettoniche, nelle norme e leggi che regolavano la vita comunitaria, nella organizzazione economica e del lavoro.

La ricerca ha restituito “voce” al silenzio dei centri storici, agli utensili ed attrezzi per il lavoro di contadini e pescatori, ai luoghi delle abitazioni occupati dalle famiglie di pescatori, contadini, pastori, boscaioli, artigiani e all’uso che ne facevano.

Le grandi modificazioni dell’assetto del territorio in un segmento omogeneo, dal punto di vista antropologico, del vasto entroterra montano abruzzese, viste attraverso il prosciugamento del lago, la riforma agraria, la nascita dello zuccherificio, la costruzione delle infrastrutture ferroviarie e autostradali dopo, la nascita di un polo di industrie a tecnologia avanzata facente capo alla Texas Instrument, gli impianti di Telespazio, sono state lette per ricercare i segni distintivi prodotti dalle comunità che costituiscono il patrimonio della storia sociale, del mondo del lavoro dei pescatori e  contadini.

La povertà ed emarginazione originava comportamenti di protesta, di rivolta. Questa condizione è descritta da Silone non solo nel suo capolavoro “Fontamara” ma anche nei suoi ricordi dove narra il suo incontro da bambino con un carcerato tradotto attraverso la piazza del paese.

Partendo dalla memoria dello scrittore Ignazio Silone la ricerca ha ricostruito la memoria della cultura contadina, per determinare, attraverso la fonte orale, il racconto di queste vicende, di vita, di questo mondo.

La ricerca ha mosso la sua rilevazione da quel particolarissimo stravolgimento operato dal prosciugamento del lago che ha dato vita a nuovi equilibri ambientali, economici, sociali e urbanistici, fino al ruolo determinante assunto dal nuovo ecosistema e le influenze prodotte nella storia degli uomini, nella flora e nella fauna, in una parola nell’intero rapporto tra uomo e ambiente: che cosa si conserva di tutto questo; attraverso quali documenti disponibili è possibile ricostruire in chiave inedita la storia della cultura del lago che si integrava e opponeva, secondo marcate vicende storiche e sociali, a quella pastorale e agricola.

Quale nuova immagine nasce dallo studio di questi fenomeni, quali identità si tramanda, quali elementi hanno concorso più degli altri a costruirla: le manifestazioni sociali, i fenomeni naturali, le tecniche produttive nella pesca e nell’agricoltura, la vita quotidiana e le sue espressioni come feste, religiosità, lavoro, i modi di coesione dei gruppi, la solidarietà.

La ricerca, tenendo conto dei documenti ufficiali sul progetto di prosciugamento, sui termini della concessione reale all’imprenditore Torlonia, ha letto gli otto anni della durata del lavoro attraverso tutte le testimonianze ereditate ancora disponibili della fonte orale.

Attorno al Fucino si è snodata una vicenda storica senza soluzione di continuità che ha avuto al centro la problematicità di una questione importantissima: il prosciugamento del lago, l’uso delle nuove terre.

Questo nodo centrale attraverso un passato ricco di tradizioni, che hanno costituito un patrimonio non indifferente trova ancora oggi una sua vitalità che proietta questa terra nel futuro già iniziato nel presente con l’impianto di poli tecnologici come Telespazio, la Texas Instrument, i centri di produzione per i programmi televisivi. A fianco di questo sorprendente sviluppo tecnologico coesiste ancora oggi l’agricoltura del Fucino.

Il prosciugamento del lago ad iniziativa della famiglia Torlonia permise di utilizzare la vasta area occupata prima dalle acque.

La ricerca, nel delineare l’impegno imprenditoriale dei Torlonia, ha ricostruito le fasi della organizzazione del latifondo, della loro divisione in unità produttive, poderi e appezzamenti, dell’impianto delle prime coltivazioni e il risultato dei primi raccolti, cercando di rispondere a domande legate alla vita dei contadini e delle loro famiglie, alle forme dei contratti con il proprietario, all’uso di animali o macchine per le coltivazioni stesse.

Tenendo conto che nel 1906 ad Avezzano veniva aperto uno zuccherificio, che durante la stagione delle barbabietole occupava circa 1500 unità nel 1914, e nello stesso anno il Comune aveva entrate per trecentomila lire e poteva sviluppare un programma di lavori pubblici per un milione e mezzo di lire , la ricerca ha documentato l’influsso operato dalla nuova realtà della coltivazione del Fucino, sulla città di Avezzano e in generale sull’intero territorio; le fasi di questo sviluppo e i risvolti sulla vita della comunità.

Come afferma Cianfarani, con un accostamento che ai fini della ricerca sembra utile… “Il lago era un dio misterioso cui già in epoca arcaica si erano innalzate are, che bisognava ingraziarsi con doni e che veniva eletto protettore di associazioni religiose. Un dio dalle vie spaventose, che portava di quando in quando le sue acque a lambire il piede dei monti prossimi, inghiottendo abitanti e campi… un dio da placare con donativi… cercando i residui di questa millenaria attività materiale, in  quel rapporto tra il lago e l’immaginario collettivo, per il valore autoctono della cultura di questo territorio, che legava il mondo dell’acqua con quello , in particolare, della pietra in cui vivono,  per esempio, le fantastiche figure di animali nell’ambone di S. Maria di Porclaneta di Rosciolo (sec. XII) o nei bassorilievi che rappresentano acqua e barche, o nella chiesa di S. Maria di Luco dei Marsi (sec. XIII) dove sono scolpite nelle colonne della facciata, pesci, serpenti e figure mitologiche.

Il Fucino e la pesca.

” Ho settantasei anni – mi dice – ho vissuta mezza vita col lago e mezza con la terra, il lago dava pesce, la terra dˆ pane: meglio la terra che il lago – ripetono tutti – ma a me il lago dava pesce e pane insieme! Ricordo come fosse oggi – soggiunse fissandomi con gli occhietti ringalluzziti – io giravo tutto il lago a piedi o in barca e ripulivo i pescatori robusti con la pelle scura e il pelo duro. Erano belli, vestiti con le giacche rosse d’estate, con le cappe turchine e coi pelliccioni di pecora d’inverno, e col berretto duro, per l’acqua e il sole, come la pietra… Erano belli ed era bella la loro pesca. D’estate, con le reti soltanto, bastava tirare per aver pieno il sacco di tinche, barbi, anguille e gamberi; d’inverno invece si faceva la chiusa intorno alle fascine della montagna Angizia, con i ripari di tela e i bastoni conficcati nella mota del fondo; e poi s’entrava nella chiusa con tante barche e si levavano le fascine e restava il pesce prigioniero volontario. L’acqua non stava più ferma, non aveva più pace, le onde corte del respiro si accavallavano, ogni tanto si vedeva una testa: sembrava una guerra. – Oh, la grazia di Dio! – gridavano i pescatori e calavano lesti tante sacche tonde orlate di ferro che tornavano piene. Il pesce nostro andava in ogni paese, fino a Roma… E l’estate si facevano i bagni, e l’inverno si correva sul ghiaccio, si scivolava, si giocava con le pezze grosse di formaggio pecorino e si mangiavano le ulive secche e si beveva il vino…

E. Agostinoni, Il Fucino, anno 1908

Nell’ampia conca marsicana esisteva anticamente una città chiamata Marsiglia (Marsia). Era tanto grande che faceva focola centomila (centomila famiglie).

È Quando Gesù Cristo girava per il mondo, capitò una volta a Marsiglia per cercarvi l’elemosina. Ma tutti gliela negavano: perché non vai a lavorare?

 È Sfinito dalla fame e dalla stanchezza disse Gesù: questo popolo mi ha negato un tozzo di pane, ma non mi negherà un ricovero.

Calavano le ombre della notte, mentre Gesù andava picchiando inutilmente alle porte per chiedere ricetto. Dopo aver abbandonato i quartieri ricchi, egli si inoltrò nelle anguste stradicciuole dove abitavano i poveri, ma neanche lì trovò ricovero. Bussò finalmente a una capanna e gli apparve una vecchia lacera e smunta. Son un povero in cerca di asilo disse Gesù. E la vecchietta rispose: entra e adattati alla mia miseria. Ella era vedova, aveva perduto i figli e viveva rassegnata alla volontà di Dio. Gesù dormì quella notte sopra un lurido giaciglio. La mattina, riprendendo il viaggio, pregò la vecchietta di precederlo nel cammino e di insegnargli la via per attraversare i monti a sud della Marsica. La vecchietta obbedì ma lungo la strada Gesù le disse: se prima non arriveremo ad Arciprete (Archippe città mitica), non ti voltare indietro. Ma come giunsero a quella località, Gesù disparve. Allora ella si voltò indietro e, spinto lo sguardo, non vide più Marsiglia. Al posto della città era sorto il lago del Fucino.

A. DE NINO, Usi e costumi abruzzesi, anno 1897

La notte di Natale, quando c’era il Lago di Fucino, i barcaiuoli facevano delle fiaccolate di allegrezza. Oggi l’uso rimane ai giovanetti, i quali, alla vigilia, preparano torce fatte con i vinci sicchi (giunchi secchi) o con rami d’alberi intrecciati e fatti seccare. Si accendono queste torce; e, come se ne spegne una, se ne accende un’altra. E con le torce accese, gironzano per l’abitato, senza stancarsi, recitando ad alta voce: Stre’, stre’! / Alla case de Ziri˜

La cantilena deve alludere a qualche superstizione, di cui si è perduta traccia…

A. DE NINO

Usi e costumi abruzzesi, anno 1897

Oggi questa terra è un granaio enorme e ricco; ma se chiudiamo gli occhi, vediamo barche a vela, udiamo lo sciabordare dei remi e ammiriamo i paesini, affacciati sulla sponda meridionale che si specchiano sul lago. Oggi è completamente scomparso quello che esisteva una volta…

A. MACDONELL, Negli Abruzzi ,1908

Mentre si scivolava sulla dolce superficie del lago.

Ci decidemmo poscia a discendere nel lago, in una barca, per farci condurre direttamente a Trasacco, o Transaquas. Poco distante dalle rovine di Penna, rimane Luco, anticamente Lucus, un misero villaggio, i cui già bellissimi campi, sono ora invasi dalle acque fin sotto le case degli abitanti.

Questi cittadini vivono principalmente del pesce del lago, la cui produzione viene coltivata pel profitto delle due case proprietarie, i Colonna e i Cesarini di Roma.

Ricavano anche qualche profitto gli abitanti di Luco, dal traffico del legname del bosco.

Mentre si scivolava sulla dolce superficie del lago, uno dei miei compagni sparò a due piccole folaghe, fulyca atra Linuaei, e ad uno svasso, colylous auritus Linuaei. Vedemmo pure varie anitre selvatiche, anas boschas, ed altri uccelli acquatici di cui non avevo conoscenza, e Lolli mi assicurava che è abbondantissima la caccia sul lago di varie sorta di uccelli acquatici.

Mi si disse pure che è ricco di ogni sorta di pesci; ma li chiamano questi, con nomi così assolutamente locali, che non mi riuscì possibile compilarne un catalogo regolare.

A pranzo, in casa dei miei amici, non vidi che dei lucci, dei carpi e delle tinche, ne potetti avere nessuna nozione esatta del pesce ad otto pinne menzionato da Plinio.

C.U. DE SALIS MARSCHLINS,

Viaggio nel Regno di Napoli nel 1789.

Oggi questa terra è un granaio enorme e ricco.

Dove un tempo c’era il grande lago del Fucino (o di Celano) oggi ci sono vasti campi di grano appartenenti al Principe Torlonia.

Dall’alto delle montagne di Celano, dai pendii montuosi sopra Avezzano, ti rendi conto di questa realtà e ne provi onore o soddisfazione a seconda che in te predomini l’interesse per il paesaggio o per l’agricoltura. Naturalmente trentacinque anni non sono abbastanza per trasformare un lago prosciugato in qualcosa di attraente: ma anche cento anni sarebbero insufficienti per abbellire ciò che qui è stato realizzato, cioè un disegno di precisione geometrica su un’area di sessantacinque miglia quadrate, interminabili parallelogrammi delimitati da viti pioppi e simili nell’insieme a una scacchiera immaginaria.

Persino i campi stupendi in cui ondeggia il grano perdono la loro bellezza per il modo preciso con cui la loro estensione è stata ripartita. È inutile paragonarlo ad un giardino geometrico, perché non più esisterne uno lungo dodici miglia e mezzo ed inoltre questo spazio, circondato tutt’intorno da gigantesche colline, non è proprio il luogo adatto per un giardino. Visto dall’alto il Fucino oggi è uno sconcio che deturpa il magnifico paesaggio della Marsica.

A.MACDONELL, viaggiatrice del Novecento.