La storia sommersa del lago di Campotosto.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

” E noi suoneremo le nostre campane” dissero i patrioti di Mascioni, discendenti, come vuole la leggenda popolare, di Ettore Fieramosca e della sua famosa disfida di Barletta. Nel paese ai bordi del lago è diffusa ancora oggi la convinzione che il condottiero abbia preso i natali proprio lì. Ma nel 1920, le campane suonarono per davvero, a stormo, e 200 persone con in testa il portabandiera, e poi donne, bambini, il parroco, il maestro elementare, mutilati e invalidi di guerra scesero dal paese – come ricorda Aurelio De Santis – per sfidare il marchese, il licenziamento dal cantiere della torbiera ( dove si estraeva il materiale da combustibile) posto nelle pianure di quello che diventerà venti anni dopo l’invaso artificiale di Campotosto, e i carabinieri che difendevano gli uffici e la direzione della ditta. Spararono, e a terra ne rimasero quattro, dopo l’assalto, la colluttazione e la rabbia. “… Qui, più nessuno resiste al furore, tutti fuggono via per le campagne, come quando un torrente ne va fore: ognun fugge a s’aiuta alle calcagna! C’è chi piange i suoi cari che al dolore, delle ferite pur la terra bagna! Così lasciavano il campo i Mascionari che furono d’armi scarchi e rari… ”  scriverà molto tempo dopo, per ricordare l’evento, in una sua ottava, il poeta a braccio Francesco D’Alessio. Il lago di Campotosto (1212 m. s.l.m.) è chiamato ” Riserva naturale di popolamento animale”, nel cuore dell’appennino, che ha sommerso le pianure del pascolo e la battaglia della torbiera, con il suo bacino lacustre, artificiale, nato per produrre energia negli anni ’40. Si sviluppa per 1600 ettari, di cui 1400 di acqua, tra il Gran Sasso e i Monti della Laga, e il resto è riva, sabbia sottile di arenaria che modella le anse e le baie dove le acque fredde ristagnano e formano paludi imprevedibili, per brevi tratti, rispetto ai 64 km. del periplo del lago, sotto il livello della strada, alcune volte difficili da attraversare con la mountain bike, anche se il kit di riparazioni che portiamo con noi (spesso in funzione) è formato da smagliacatena, chiavi a brucola per serrare e camera d’aria di scorta. Viaggiamo, quindi, intorno al perimetro, a quella conformazione topografica del lago a forma di “Y” che ricorda i palchi di un cervo che qualcuno giura di aver visto, come in una apparizione, da queste parti, nella bruma del mattino, ad abbeverare. Il lago di Campotosto: una grande portaerei distesa sull’Italia centrale per l’atterraggio degli uccelli migratori che dall’Europa migrano seguendo la dorsale montuosa dell’Italia peninsulare; un luogo franco per le numerose specie di uccelli rari in Abruzzo come la Gru e l’Oca selvatica che compiono centinaia di miglia in volo e una vegetazione invece che in questo angolo dell’Appennino si è ritagliata un particolare habitat per le caratteristiche floristiche che presenta, spartite insieme ai pochi pescatori rimasti che conducono l’attività della pesca, con le reti, al coregone. Ma il lago è anche il grande polmone, che respira, alza le sue acque, ingoia le rive, per restituire dopo un po’ il paesaggio rivierasco che si trasforma continuamente nella forma e nei colori, unici, sullo sfondo del Gran Sasso, e presto coprirà anche i solchi del nostro passaggio.

 

Le fotografie: Ponte delle Stecche prima dell’invaso artificiale, la barca raggiunge il luogo per ritirare le reti della pesca al pregiato coregone, Il pascolo sulle rive del lago, la manutenzione delle reti, le case abbandonate che riaffiorano dal lago.