Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

E’ chiamata Vallecupa: improvvisamente il suolo scende, precipita e sprofonda in una depressione, forma una sorta di canyon, si insinua e solca infine la pianura che il carsismo ha scavato e ha reso così scenografico questo lembo di paesaggio così estraneo alla Conca Aquilana, ma ad una manciata di chilometri a sud- est del capoluogo; la valle è ondulata, si flette, dalle alte pareti ricoperte a intervalli dalla vegetazione, sembra scivolare, e a tratti si leggono anche gli strati geologici della roccia, il suo antico processo di formazione che a monte si manifesta con il lago Sinizzo, dietro la folta macchia. Dalla “balconata” del borgo di San Giovanni, Villa del Comune di San Demetrio né Vestini, che sovrasta Vallecupa, la forra sottostante è primitiva, arcana, un sito ambientale, uno scrigno dei Beni paesaggistici conservativi, quasi sconosciuti.

“ L’acqua arrivava dalla sorgente a tutti gli orti – raccontava Tonino Panone, classe 1917 – ma era poca, allora; si facevano i turni perché chi voleva più acqua e chi la rubava…”. A quei tempi si viveva con la terra. Dal mese di marzo si seminavano le patate, poi insalata, pomodori, peperoni e c’erano le piante da frutto; d’inverno invece si preparava la terra, si spietrava, si toglievano i sassi dagli orti” e si costruivano i muri di sostegno, di contenimento.

L’acqua della sorgente Acquatina, la sua memoria… impossibile datarla, come è impossibile datare il paesaggio agrario ereditato nella storia degli uomini, degli orti, sospeso, pensile, che riceve l’acqua dalla sorgente e si appoggia ai fianchi del borgo di San Giovanni. Terrazzato a diverse quote, un’opera idraulica notevole ( la terra è sottile come la sabbia), a scalare in un gioco sapiente di piani coltivi alti e bassi modellati sotto la grande falesia di roccia, gli orti scendono dentro Vallecupa pronti a ricevere l’acqua.

“Gli orti vecchi ci sono sempre stati e l’acqua – continua il racconto Tonino – per caduta entrava nella “rasetta” ( così chiamati i terreni), “ camminava” e si “ riava” come nel medioevo, da queste parti. C’era il guardiano dell’acqua che segnava l’ora e il tempo di irrigazione per far pagare i contadini i tributi al Comune di San Demetrio. Dalla “rasetta” più alta si partiva…”, e l’acqua della sorgente, dal rio, scavato a mano, superati gli sbarramenti e le saracinesche in legno, inizia a “camminare” dentro le condotte di terracotta ( per non farla inizialmente disperdere), ma poi entra in questo paesaggio agrario di piccole superfici, letteralmente inventato ( sembra il luogo degli Hobbit, del Signore degli Anelli ), dentro le cunette l’acqua scivola, i solchi degli orti e irriga la terra, poi salta anche diversi metri, viaggia, scende, cade sulle ”rasette” protette da alte mura, armate con le pietre a secco prima e poi malta per “tenere “ i terreni, non farli scivolare a valle: un microcosmo di una piccola economia di sussistenza, agricola ( stimata in circa venti coppe balconate), tanto importante che ha avuto bisogno di queste grandi opere idrauliche, gli argini appunto in pietra per proteggere gli orti e favorire l’autoconsumo delle famiglie e il baratto dei prodotti agricoli.

Il viaggio dell’acqua continua…

“ Toccava a te per esempio prendere il turno – conclude Tonino – ma qualcuno bloccava il flusso e ti rubava l’acqua: dovevi essere presente, anche la notte: con la zappa rompevi l’argine dove era stato interrotto dalla condotta madre, aprivi la “canzatora” così è chiamata, rompevi il solco, e l’acqua cominciava ad entrare nel tuo orto e poi la guidavi sui pomodori, zucchine, peperoni, insalate per il tempo che ti era stato assegnato, e non oltre, perché gli orti sotto la valle avevano bisogno della stessa tua acqua e i contadini aspettavano anche nella notte fonda l’arrivo dell’acqua”, la loro vita, e oggi la loro memoria, di cui abbiamo bisogno per raccontare le storie dimenticate, ma che ci appartengono: narrati di tradizione orale e tanto altro, epistolario collettivo, un’idea per il Comune di San Demetrio né Vestini per rappresentare le storie minori di appartenenza, in un evento di aggregazione possibile, e riunire infine in quel “catalogo” disperso le tante voci della comunità locale che tracciano il tempo.

Le fotografie.

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Gli orti, sotto il borgo di San Giovanni a San Demetrio ne’ Vestini, terrazzati e armati con mura di pietre, e attraversati dalle acque che scendono dalla sorgente Acquatina. Il nucleo di San Giovanni, probabilmente il più antico dell’aggregazione che costituisce San Demetrio né Vestini. Concorse alla fondazione della città dell’Aquila ed è ricordato da Fonticulano, Antinori, Cirillo anche nelle cronache della guerra tra la città dell’Aquila e Fortebraccio da Montone ( anno 1424). La struttura urbanistica di San Demetrio né Vestini è di tipo policentrico per l’aggregazione di sette distinti nuclei. San Giovanni, denominazione contenuta in una bolla di Innocenzo III del 1204, che concedeva a Forcona la giurisdizione su tutte le chiese della zona. I nomi delle altre ville appaiono in documenti successivi. Si ipotizza che nel XII secolo già esistevano le denominazioni che conservano ancora oggi antichi idiomi : Colle, Villa Grande, Chiavantuni ( o Caventoni o Cavantoni), Collarano ( o Collerano), Caderabello ( o Cardabello o Cardabollo), Cardamone ( o Cardamini), San Giovanni.

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La Villa Cavantoni e la Villa Cardabello.

I torchi in legno usati per stirare i panni nella tintoria di
S. Giovanni, raro esempio di archeologia industriale. Di proprietà della famiglia De Nuntis, l’edificio fu acquistata poi dalla famiglia Liberati. La tintoria non serviva solo la comunità di San Demetrio né Vestini, ma anche quella dei centri limitrofi. E’ stata utilizzata, per tingere sia la lana che le stoffe, fino al 1950.

La chiesa di San Demetrio né Vestini sorge all’incrocio tra la strada Subequana e la Aufinate.

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