“La vendemmia, se la santità la vuole…”.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

Propedeutica, così volevano che diventasse la processione: una scienza esatta, una sorta di disciplina preparatoria in grado di tutelare e salvaguardare con il suo rito propiziatorio i campi,  ingraziarsi la santità, accattivarsi la protezione degli elementi naturali, sempre in conflitto tra loro. Per questa ragione le solenni processioni verso le vigne erano diventate soprattutto un’ossessione, un rito ciclico, ma prima, molto prima che si arrivasse alla vendemmia: un test questo, atteso, dell’economia agricola di vendita e scambio praticato un tempo, da queste parti; un test che misurava l’anno agricolo, i profitti, il bilancio delle famiglie contadine; un test che ridisegnava il calendario: se la vendemmia andava bene si poteva andare nelle fiere e nei mercati autunnali, e comprare. Da Rocca Preturo (Frazione di Acciano) la processione muoveva il giorno di San Marco dalla chiesa verso le vigne, per la siccità di queste, da scongiurare; il prete benediva, la gente pregava, le campagne venivano acquietate; contro la grandine, alla Candelora, le candelette si portavano nei vigneti, sempre in processione. A Goriano Sicoli prendevano il pane contro il temporale, poiché il mese di maggio, si celebra Santa Gemma; a Castel di Ieri, nella festa di San Luigi somministravano il pane, contro la tempesta, per proteggere e “cibare” i terreni: cerimonia e sacrificio s’incontravano, la religione cedeva il suo primato, per un momento scendeva a patti con il primitivo modello delle campagne, arcaico, di quei miti irriconoscibili allora, sprofondati nell’antropologia culturale del tempo degli antenati a cui la gente si appellava: simboli improbabili per scongiurare il cattivo raccolto delle vigne. Qualcuno racconta appunto di quei simboli come un lascito, antico, un testamento, orale, per invocare la santità che veniva in aiuto dei vigneti: dalle case si buttavano fuori i soffietti dei camini, gli spiedi in ferro si allontanavano dalle abitazioni per bloccare i tuoni, le saette e quei temporali che dilavavano i declivi, le frane sbancavano le vigne, e dopo averle distrutte,  scendevano a valle. Qualcuno, raccontano, addirittura chiamava il prete per la benedizione del terreno dopo lo “scasso”, cioè la preparazione, durissima, per piantare la vigna. Il lavoro era tanto, andava benedetto. ” Dopo la vendemmia i contadini – narrano i racconti – compravano le scarpe e il vestiario in genere e pagavano i debiti. Nel periodo della vendemmia c’era la fiera a Beffi, chiamata della Capra, dove la gente andava a comprare i prodotti; poi la fiera a Pedicciano di S. Lucia. A Castelvecchio Subequo il 17 settembre, il 4 ottobre, il 4 febbraio. In quella del 4 febbraio si acquistavano gli attrezzi per iniziare il nuovo anno agricolo. Il vino era merce, allora, era pagato bene; si barattava il grano con il vino che il giorno di San Martino, dalle botti ” prendeva l’aria”, si guardava e si assaggiava, e se la santità voleva, prima di aprire le cannelle e le chiavi in legno, togliere il sapone ricavato dalla lavorazione del maiale e usato come mastice intorno ai tappi di legno, si disegnava la croce con la calce sopra la botte, simbolo di buon auspicio per la conservazione del vino. Se la santità voleva…

 

Le immagini. Il borgo di Acciano, nella valle dell’Aterno.