L’Aquila e Gran Sasso d’Italia. Il lupo, il bosco e l’attraversamento del gregge. La predazione.


Testo e fotografia Vincenzo Battista.

La mandria è partita all’alba, periferia dell’Aquila, si riescono persino a vedere le lunghe mura della città poggiate tra la foschia. Dieci ore circa l’attraversamento di valichi e forre strette e anguste, vegetazione appenninica, pianori erbosi e picchi montuosi calcarei fino alla meta: gli alti versanti tra le giogaie del Gran Sasso d’Italia. I lupi hanno seguito, defilati, il gregge forse dalla città, scortato quasi, per ore lo hanno visto dai rilievi tenendosi a distanza e sopravento per non farsi intercettare nel loro odore – il richiamo – dai mastini abruzzesi che sorvegliano, posizionati nel perimetro della mandria, che poi cambia composizione mentre pascola e sale di quota guidata dai cani “paratori”, addetti a muovere i capi ovini in quella geometria variabile del gregge, nel paesaggio : un itinerario oramai conosciuto da generazioni di pastori, sempre lo stesso, ogni anno, all’inizio dell’estate. I lupi.

Non un branco, ma alcuni esemplari, giovani, allenati e famelici, non c’è un capo, militarmente preparati come una fanteria d’assalto “lavorano” in simbiosi all’attacco in un’unica soluzione strategica d’azione finale, attratti da quell’irresistibile richiamo della carne fresca da divorare con voracità conficcando persino il muso e strappando la carne nel corpo delle pecore dopo averle scannate. Non più carcasse di animali da racimolare, quindi, della piramide alimentare e loro al vertice, disseminate e seccate dal sole e dalle intemperie, ma si apre la stagione della caccia. Hanno pazienza, i lupi attendono e seguono il gregge, sono meticolosi, difficile che falliscano, scrupolosi si acquattano con la testa alzata sulle rocce, poi si alzano improvvisamente, ruotano, indietreggiano, ma non perdono d’occhio gli armenti che transitano sotto di loro.

Hanno aspettato tanto, ma il tanto atteso è arrivato… L’attacco. Non in campo aperto, ma scelgono il bosco, il campo militare dove è coperta la visuale, la battaglia attesa. L’istantanea di scena è servita… Tra poco. I lupi hanno memorizzato e fissato il sito d’attacco nella macchia fitta, l’area della predazione, l’anello debole della catena, del gregge, il punto di fragilità e flessione per sferrare la micidiale offensiva, e poi le vie di fuga – le vie d’uscita, i diversivi, la performance nelle migliori condizioni nella scheda genetica del loro cervello ( 800.000 anni fa la prima presenza attestata) che inizia a girare, nel lupo, pronta a scaricare la mappatura del territorio nel loro software genetico, si ingrandisce, proviamo a pensare, come un database, sì, nel loro cervello, quasi fosse una sorta di Google Maps, incorporata del Dna di questo eccellente serial killer: il lupo non fa prigionieri, non saprebbe che farsene nel suo continuo peregrinare su e giù al pari di una milizia sull’appennino centrale a 80 km al giorno, velocità che va dai 50 a i 70 km orari. Ci siamo. Il Blitz del dio della guerra, animale caro alla Roma imperiale, il diavolo che minaccia il “gregge” per i cattolici, eretico, già il suo nome tenebroso allude alla dissolutezza nelle raffigurazioni arcaiche. Nell’età classica, Plinio commenta nel suo libro Naturalis Historia, il buon auspicio se si incontra il lupo: «Quando ei viene da man ritta, e attraversa la via, e se egli ha la bocca piena, nessuno altro augurio è migliore». Nel medioevo è invece icona del diavolo, nel catalogo dei demoni, bestia per gli animali e greggi e divoratore di uomini.

Ci siamo. Dopo molte ore di transumanza verticale alle spalle, il gregge adesso entra nel bosco, si apre a ventaglio, una fiumana di centinaia e centinaia di capi procede in file, a gruppi, si distanziano le pecore, viaggiano spedite poiché la boscaglia è fresca e non c’è pascolo ma l’acqua. I mastini abruzzesi però avvertono qualcosa, alzano la testa, annusano, prima si fermano e poi improvvisamente come dannati partono avanti, sembrano narcotizzati, al galoppo prima e poi è corsa incessante con lunghi latrati, un eco assordante che rimbalza tra i faggi secolari. Lasciano il gregge e il loro editto di protezione, si insinuano nel sottobosco sempre più avanti: è quello che i lupi vogliono, è scattato il diversivo. Un lupo del gruppo ha calamitato i cani pastore abruzzese con il proprio odore, li ha attirati dietro di sé, spinti nella profondità della foresta di ettari sconfinati, una delle più imponenti macchie mediterranee del Centro Italia, stipata nel Gran Sasso d’Italia. Il gregge è sguarnito, senza protezione ai fianchi, il pastore lancia i fischi e urla parole incomprensibili per farli tornare indietro ma è inutile, in quel caos di latrati, richiami di uccelli sugli alberi che sembrano impazziti, fughe e polvere, persino le fronde sembrano vibrare a tutto quel frastuono e il continuo belare degli animali che non smette mai, nella foresta, che sembra diventato un videogame. Il pastore pensa che i suoi cani sono stati attratti da un cinghiale, forse un tasso, le volpi certamente. Non è così.

Dai labbri del suolo che si rigonfiano nel bosco e nascondono la vista, i lupi escono fuori, un balzo, la groppa e il dorso diventano un arco che si flette e si lancia, le robuste zampe anteriori catapultano il corpo, le fauci si spalancano, rapidamente razziano le prede sul loro corpo lanoso e le trascinano, sì, ma quelle pecore che si attardano in coda alla mandria ( selezionano i capi), le scaraventano giù nei fossi, le scannano e sono lì, i lupi, fermi infine con i canini che tengono le vittime e gli occhi spalancati gialli ipnotici, mentre il gregge scivola nel bosco, si allontana, prosegue il suo cammino. La mandria non si scompone, il pastore è avanti, guida i capi ovini: tutto sembra apparentemente normale. Sembra. I lupi sono lì e lì restano, la mandria è lontana, i lupi non hanno stress… I lupi banchettano. Si unirà infine il “lupo – preda”, quello inseguito in precedenza dai bianchi mastini abruzzesi, con un lungo giro si è unito ai “carnefici”. Dopo molte ore. Il viaggio della mandria prosegue e si avvia al termine, ancora in cammino per poco, finalmente lo stazzo in quota degli alti pascoli, l’arrivo. Le pecore entrano nei recinti, si contano: mancano alcuni capi…

Le immagini. Il bosco e la transumanza verticale in direzione del Gran Sasso d’Italia.