L’Aquila. “Gli Europei” dei ragazzi di Santa Croce.

Testo e fotografia  Vincenzo Battista.

Certo, forse per noi ragazzi i Fori Imperiali ridotti in avanzi, colonne a terra, conci di pietra su un’estesa area quella del monastero di Santa Croce con la chiesa omonima settecentesca ancora in piedi e visibile, prima della metropolitana dell’Arco Santa Croce, il tutto ingoiato dai tornanti  e le mura urbiche che cingevano il chiostro, l’orto, il pozzo e le cisterne d’acqua, il campanile, i cortili, l’ingresso del convento con l’atrio e la ruota girevole per cibi e neonati, il parlatorio, le celle, il refettorio, la clausura, insomma, tutto l’impianto monastico che si appoggiava, defilato, su Porta Barete, così nella nostra immaginazione ma certamente su un perimetro esteso bombardato, vero, raso di gobbe di detriti e cavità, cantine incerte, grotte per la conservazione dei prodotti chissà, Pompei per chi ci era andato. E lì dentro. La caccia a tutto quello che si muoveva con la fionda con rami, cuoio ed elastico: micidiale, non dava scampo a quella “Savana” con sempre meno specie, in estinzione. E poi “Padre Gerolamo”, “Buzzicu”, “Sarda la Mula”, a “Tappi”, le corriere con i sassi, Porta Barete, considerata una riserva privata di Santa Croce e le sue polle d’acqua sorgive, il vischio e il legni messi lì per catturare gli uccelli: la “Caccia grossa”, le carrozze in legno con i cuscinetti lanciate come missili per quell’asse inclinato di Santa Croce, oltre qualsiasi concezione della dinamica dei corpi e della sua causa effetto: te la trovavi davanti, inutile commentare il dopo…Il clorato di potassio – pasticche – con lo zolfo tutto in una  polvere dorata tra due mattonelle, ma bisognava attendere che passassero le donne con la spesa, poi il botto, qualche suola forse partiva, sicuramente sì gli spaventi in un mix di imprecazioni di un Vietnam – Santa Croce, ma non per sempre. Le grotte e le capanne, ma non come nel film “L’Attimo fuggente”, poiché in quei luoghi della liturgia pagana si pianificavano cose impensabili per rompere la prigionia degli eroi del quartiere – Stato. E tanto ci volle, e accadde (siamo ai primi anni ’70 del ‘900) non sapremo mai dell’ispiratore ma siamo certi del “cenacolo” dei ragazzi che conosciamo perché da lì partimmo, nella “seduta” suprema dell’ossario nella chiesa di Santa Croce a rovistare, per cercare tra quei resti di antiche datazioni secolari, in quel ludico gioco per definizione pedagogica, lo potremmo “condire” garbatamente così, ma nella sua applicazione macabra conseguenza. Lo capiremo. Giro tra le mani un ritaglio di giornale, ingiallito, un articolo con una foto: la “piazza”, davanti l’Arco Santa Croce, e noi ragazzi che giochiamo a calcio con un teschio umano… Tanti Peter Pan che solo a distanza di anno avrebbero capito la sottile linea rossa che separa il senso inviolabile delle cose.