Testo e fotografia di Vincenzo Battista.
Partiamo da una citazione.
“ Alla nostra destra apparve subito L’Aquila, una città grigia ed estesa su un’ampia pianura. Da vicino la città sembrava armonizzarsi con l’atmosfera orientale del paesaggio circostante. Le diroccare mura racchiudono al loro interno verdi distese, terre brulle nonché palazzi. Ma chiese e palazzi sono separati da misere abitazioni, resti di guerra e terremoti, che rendono arduo scoprire gli affascinanti frammenti gotici i quali parzialmente compensano l’aspetto generale misero del luogo…”
Anno 1875, Douglas W. Freshfield, viaggiatore e geografo inglese, focalizza la sua prima impressione di cronista colto, da inviato per “The Alpine Journal”, nella grande “escursione culturale” da lui compiuta nella città dell’Aquila e il Gran Sasso d’Italia, alla ricerca di elementi salienti, particolari, che riversa nel suo taccuino con accenti a volte aspri. ” L’aspetto esteriore dell’Aquila – scrive Freshfield – non avrebbe indotto uno straniero ad intuire nella vecchia e tediosa città l’esistenza di una vitalità così prorompente da stupire i più vecchi abitanti. Ogni locanda era affollata; un reparto di soldati occupava le piazze; studenti provenienti dalle città limitrofe visitavano le chiese; ciarlatani e prestigiatori si esibivano in ogni angolo; cartelloni con scritte a caratteri cubitali, leggibile anche sotto la luce lunare, annunciavano l’opera di Verdi. Fu un vero e proprio risveglio e se alcuni spettatori tornarono a casa barcollanti ( cosa piuttosto rara da vedersi in Italia) ci sembra giusto ricordare che il sonno dell’Aquila era durato cento anni. Ottenuti due letti in un salotto in una migliore locande, vagabondammo in giro per ammirare le bellezze artistiche guidati da un lustrascarpe, unico cicerone a disposizione. Quando lasciammo santa Maria di Collemaggio, situata fuori città, il sole era appena tramontato dietro l’orizzonte: le colline che di giorno appaiono nude erano avvolte da trasparenti vesti di colore grigio – porpora; lontano, verso Sud, le nevi dell’enorme massa della Maiella brillavano come carboni ardenti attraverso le tremule onde bluastre dell’aria: vista così L’Aquila ha il fascino selvaggio e impetuoso”.
Il viaggio continua, l’osservazione si sposta, gli accenti critici vengono abbandonati di fronte al paesaggio montano, al fascino che emana e che subisce il cronista: “ Il Gran Sasso è la vera montagna – scrive Freshfield – sia che a osservi dall’alto che dal basso. Un grande precipizio si presentava ai nostri occhi. Una cresta impraticabile, interrotta da profondi dirupi, ed una possente torre si collegava alla parte più bassa di Corno Piccolo e interrompevano parte del territorio pianeggiante con il suo lungo orlo frastagliato di roccia chiara. Partendo da L’Aquila, il viaggiatore può arrivare a Campo Pericoli alle tre di pomeriggio, prendendo una carrozza fino a Paganica, e procedendo quindi a piedi o a cavallo per Pericoli. Da Assergi a Campo Pericoli si impiegano cinque ore a cavallo. Un allenato camminatore può arrivare alla vetta del Gran Sasso da Campo Pericoli in tre ore. Il miglior posto per trascorrere la notte e Campo Pericoli, dove c’è una capanna di un pastore. Essa è provvista di paglia, cosicché è necessario procurarsi coperte nonché una buona scorta di acqua e legna”, in questo sito ritrovato oggi, “ Campo”, aggregato di capanne a tholos, simbolo evocativo, ma anche luogo della narrazione, letterario da conoscere e scoprire, misterioso, del Gran Sasso totem degli Appennini.