L’Aquila. Il Liceo “D. Cotugno”, gli studenti, l’opera d’arte. Si testa l’interdisciplinarietà dell’esame di Stato. Storia dell’arte.

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Il quadro di Francesco Paolo Michetti, tempera su tela, anno 1900, “Gli Storpi” – Museo Michetti – Mu.Mi Francavilla al Mare (Ch). Dalle dimensioni enormi ( 380 x 970 cm.), quasi volesse andare oltre le dinamiche pittoriche dell’epoca e scavalcarle in una sorta di urlo nel silenzio, squarciare il tempo delle contrade abruzzesi avvolte nell’anonimato e intime per tradizioni della fine dell’Ottocento, simboliche e iniziatiche per pratiche cabalistiche, profetiche della processione che sfila davanti agli storpi ( centrale, vedremo questo, nel quadro), quasi fosse un graffito parietale ante litteram, i buoi – partiamo da lì, sovrintendono dall’alto della rupe e scrutano  “quell’esodo” penitenziale e denso di liturgia del peccato da espiare, che appare biblico. La terra è come se si fosse aperta per far passare i personaggi in un corteo messianico di ceste di bimbi, croci processionarie, volti stanchi e rassegnati, una donna con il seno esposto quasi fosse una divinità, uomini e donne ( mentre gli storpi, defilati, attendono che arrivi il Messia) sembrano imbarazzati da quello spettacolo di membra seminude ai loro piedi, I bambini smarriti davanti a quei corpi contorti dalle malformazioni e nessuno rivolge lo sguardo, appunto, agli storpi appoggiati sul dosso del terrapieno in quella luce che lo taglia nel vespro taumaturgico, dietro una falesia rocciosa. Ma prima di “entrare” dentro l’opera d’arte, Ulisse, l’eroe greco, nell’Odissea, sull’isola del Sole vede i buoi che pascolano: sono del dio Sole, i buoi, intoccabili. I compagni di Ulisse li mangiano nonostante le raccomandazioni dell’eroe. Sarà la fine per loro, nella tempesta periranno tutti, tranne Ulisse che sicuramente d’Annunzio avrà letto e consultato, appunto, nell’Odissea. I buoi, esoterici, dunque, che tornano inviolabili miti. Michetti e d’Annunzio, proviamo a pensare, un tandem formidabile, si rimbalzano continue idee, progetti, due facce della stessa medaglia nelle relazioni personali e nei linguaggi propri che oggi chiameremo interdisciplinari. Vedono tutto questo davvero, e lì in quella processione, si sono recati per la multimedialità divulgativa. Pittura e letteratura, poesia e fotografia, scenografie e opere teatrali, viaggi compiuti insieme nel ventre dell’Abruzzo arcaico e stregonico tra magia, religione e fede primitiva: oggi la chiameremo la “Grande bellezza pagana”. “…Guidano i buoi dalla pacata faccia…”, così un brano della lirica di d’Annunzio nei “I seminatori” che proclama il lavoro contadino ma, soprattutto, esalta i buoi attribuendogli faccia e non muso, quasi a volerli umanizzare, renderli più conformi alla dignità umana. E ancora d’Annunzio, che così scrive di Michetti: “…nell’anima il vapore del sogno… si respira la spiritualità quasi pagana dell’intero mondo contadino resa con mirabile “realismo visionario”. Il quadro è, forse una “non pittura…”.  È costruito come tavola medioevale, non c’è prospettiva, è tutto su un unico asse orizzontale con gli storpi deformi che riassumono in sé le aspettative della miracolosa guarigione attesa. Piaghe esposte perché qualcuno possa intervenire, una sorta di girone dantesco, anime di una società altra condannate a restare tali. Paganesimo e cristianesimo iniziano a girare all’unisono. La natura umana che non vorremmo mai vedere qui deve stupire, dissacrare, scuotere nell’iconografia gli osservatori che la contemplano nelle sedi espositive: una lucida pazzia, questa rappresentazione pittorica per Michetti, un ossimoro. Colori a tempera bruciati e resi senza impeto cromatico dei toni primari, la biacca bianco di piombo, scudisciate che vogliono essere pennellate di tinte fredde, il quadro come una tragedia, sì, il “Trionfo della Morte” dello stesso d’Annunzio, come se avesse dato in prestito il dramma letterario al dipinto di Michetti. Toni cromatici e mezze tinte con molto nero, quasi si fossero dimessi, raccontano il quadro, non diremmo mai “una meraviglia…”, splendente, sublime, viceversa è dramma servito, non c’è bellezza, ma con i ragazzi del liceo ci siamo detti che, dopo averlo visto, andremo via con una convinzione: un “motore di ricerca”, nelle nostre menti, inizia a girare e ci dà informazioni diverse sulle paure, la solitudine, la morte mai stata così vicina a tante persone anziane. E cosi bypassando l’Ottocento bucolico, la lezione diciamo adesso si spalanca, sonda e compara, si attualizza vicino, molto vicino a noi, in qualcosa di altro, che forse riusciamo a contestualizzare, a trasportare, fino ai nostri giorni, e domandatevi che cosa è… Infine, certo, si provano le simulazioni in classe per l’esame di Stato, storia arte e letteratura un punto d’incontro tra i tanti, ma soprattutto, ho detto ai ragazzi, vi voglio magri e famelici…