L’Aquila, l’Ecce Homo del Venerdì Santo.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

Con il mantello di porpora rosso intenso, indumento solenne, veste regale che conferisce magnificenza e formale aspetto alla persona, è invece beffardamente, così si vuole, presentato ed esposto al pubblico ludibrio, allo scherno, alla derisione… Ecce Homo. Ma non basta. In una mano ha una canna, per simulare lo scettro, e una corona di spine, caricatura di un re. Dalla chiesa di Santa Maria povera, oggi Beata Antonia, l’olio su tela (140x 185 cm.) “Ecce Homo” di Francesco Albani (1568 -1660), si può ammirare in tutto i suoi simbolismi (la stessa identica tela è presente nel museo di palazzo Colonna a Roma) e nella sua plastica scena plateale di una condanna a morte che non trova alcuna colpa, nel Museo nazionale d’Abruzzo.

Cristo è al centro della pittura con le mani strette e serrate da corde, i simboli della passione poggiati su un banco, e due angeli che lo “presentano”; guarda fisso, imperturbabile, immobile, poggia lo sguardo, intimo, su tutti coloro che lo osservano davanti al dipinto. Forse un monito. E’ la lezione di una certa pittura Carraccesca ( Annibale Carracci), di Guido Reni, o forse le tante ammirazioni per Raffaello, che Francesco Albani fa proprie nell’ispirazione classicista, nel sottile fascini carico di premonizione che si apre, si propone alla lettura, così vuole l’autore del quadro, nella finestra dietro il Cristo: un paesaggio crepuscolare, indistinto, livido di luce violacea, di nubi e luci indefinite che sembrano aspettarlo dopo la “mattina avanzata” del suo supplizio, dell’uomo del dolore, abbandonato nella sua completa solitudine, deriso, in balia di una sorte terribile, da quella finestra del mondo, metafora e traslato di chi vuol “ affacciarsi”, “guardare”, oltre, e osservare lo sviluppo narrativo e le singole figure in un crescendo di personaggi, scene drammatiche e solenni, quadri brutali “ nell’ora nona”: la processione del Venerdì Santo della città dell’Aquila, dietro quella finestra….

Sfilano gli Evangelisti, nel labaro di velluto nero e lama d’argento, e ricamati, il monogramma di Cristo e le loro effigi e simboli; l’Angelo con il calice, scultura in legno patinato su foglia d’oro ( doratura); il Tradimento, legno inciso e traforato, con le insegne e i simboli dell’accadimento, dell’infedeltà; la Condanna, con la colonna della flagellazione, il gallo, il lavabo; la Derisione, corona di spine, dadi, canna; il Volto Santo, rami di quercia, spine che sorreggono il drappo del volto di Gesù; il Martirio e i suoi elementi di tortura: chiodi, croce, spugna, lancia e martello; L’Ultima cena, cassa in legno dipinto in bianco e nero su foglia d’oro, con bassorilievi in ceramica; la Passione, pannello in graffito con Cristo legato alla colonna, l’Ecce Homo; la Via Crucis, struttura compositiva in rame sbalzato, e i pannelli, che rappresentano le quattordici stazioni; il Dolore, pannello in legno dipinto e intarsiato, con i simboli allegorici; gli Apostoli, struttura in legno, patinata d’oro e in ceramica; Incensiere in rame sbalzato e legno nero; il Cristo Morto, simulacro in legno, patinato in oro e viola su foglia d’argento, ceramica e drappi, velluto nero, lama d’oro in tanta e tanta ricchezza, profusione di pregiati materiali, tecniche artigianali complesse ed elaborate per un’unica, senza eguali, rappresentazioni del dolore.

Oltre quella finestra… Adesso è la città dell’Aquila. Scivolano i simulacri, quadri visivi, scorrono come un nastro di un film nella processione delle vie del Venerdì Santo, fotogrammi, “staccati” ci piace pensare dagli affreschi altomedioevali del Contado, riuniti poi, in una narrazione che scende nelle profondità dell’antica diocesi dell’Aquila e dei suoi culti nelle pievi e negli oratori delle balze montuose inospitali. Traslati nella processione, i simulacri, in una ricomposizione del lutto collettivo che non sarà solo iconografia.

Le immagini.
L’olio su tela (140x 185 cm.) “Ecce Homo” di Francesco Albani (1568 -1660), i simulacri nella Basilica di San Bernardino, L’Aquila.