Testo e fotografia Vincenzo Battista.
Le alluvioni recenti, devastanti, tali da rendere impotenti le soluzioni, sono la metamorfosi del paesaggio che si ribella alle sempre più sovrastanti, deboli soluzioni ambientali per usare un eufemismo. Al contrario, il paesaggio stesso, riprende ciò che gli apparteneva nei contesti geografici naturali, sconvolti da una destrutturazione e sconvolgimento dell’habitat a favore della colonizzazione sempre più accelerata di selvagge urbanizzazioni e profitti economici del suolo che non regge. Inoltre l’agricoltura intensiva redditizia ha raddoppiato lo sfruttamento della terra, portando all’insicurezza chimica dei prodotti alimentari. Siamo quindi i perdenti in tutto questo. La desertificazione e la minaccia alla biodiversità sono solo alcune cause, tutto a spregio del territorio (la legge n.431 del 1985 istituisce il Codice dei beni culturali e del paesaggio), così come ci era stato consegnato nei secoli passati guardando le forme d’arte e in particolare la pittura. Il diluvio, quindi, nella sua accezione, anche se pur localizzato, può essere solo una metafora? Nella volta della Cappella Sistina, il diluvio, dipinto nella sua crudeltà da un Michelangelo che raffigura, per altro, anche una donna con una patologia grave al seno, evidente: una scoperta questa, un segreto custodito da sempre e mai rivelato, che svela un “naturalismo” inusuale, poiché era lui, Michelangelo, “tanto rude e selvatico”, perennemente insoddisfatto, ma in apparenza: ” Sembri così aspro e duro, ma appena parli di scultura diventi un poeta”. Queste alcune citazioni sul personaggio. Il diluvio è anche di Paolo Uccello, affresco custodito nel Chiostro Verde di Santa Maria Novella a Firenze. Il diluvio in pittura, poi, ma molti secoli dopo fu commissionato a Filippo Palizzi ( nacque a Vasto nel 1818 ), nel 1861 dal re Vittorio Emanuele. Un olio su tela che misura m. 175×266, oggi a Napoli nel Museo di Capodimonte. Fu presentato a Parigi nell’Esposizione Universale del 1867. L’episodio delle Bibbia, nella Genesi, il passo biblico 7, 1-24 narra la storia di Noè, “il Giusto”, che fu risparmiato dal diluvio che sterminò la razza umana, è reso visuale da Palizzi, ma sono gli animali i protagonisti che non sembrano odiarsi usciti dall’Arca, anzi, non rispondono al loro istinto primario, per quello che è il loro involucro biologico animale di appartenenza; certo, si guardano sospettosi, ringhiosi alcuni, ma non si attaccano così come sono riuniti, per volere divino. L’enfasi sulla specie animale, una veemenza nella pittura che forse vuole significare il contrario degli uomini che si odiano e quindi sono stati sterminati! Nel quadro, l’Arca in legno cuspidale, è arenata su uno scoglio, sovrasta la rupe, quasi a definire il sottostante “campo” zoologico, messo in standby, come se si trattasse di una istantanea fotografica, con una quantità enorme di specie che hanno priorità nella rappresentazione pittorica. Gli animali sembrano eccitati e perplessi di stare tutti insieme in poche decine di centinaia di metri quadrati senza violarsi a vicenda e, oltretutto fuori dal proprio habitat di appartenenza, almeno per adesso. I loro antagonisti, gli uomini, oramai estinti, con l’esclusione di Noè e della sua famiglia allargata che dall’alto della montagna compie il rito di accensione, un falò – il ringraziamento – che prevedeva di attirare a sé i fumi purificatori, come vuole il rito, sui propri corpi, e per aver messo piede sulla terra emersa. Una tenue luce, ma che avanza, rischiara il fondale del quadro dopo la catastrofe sulla terra. La maestria dei dettagli, il colore che crea l’atmosfera ideale della catastrofe, il grande disegnatore che è appunto Palizzi, quasi alla maniera delle miniature dei codici rinascimentali, dipinge gli animali con uno straordinario effetto anatomico nelle pose che essi assumono nel lungo corteo che compiono dall’Arca fino al piccolo laghetto che si è creato, alla ricerca dell’acqua, e sullo sfondo di un paesaggio boschivo piegato e cancellato, e poi il controcampo degli uccelli che si alzano a stormi e tornano a volare. La biodiversità rappresentata è dunque anche questa dell’opera pittorica, che oggi è un monito e ha riflessi sui fattori umani dell’economia e delle società, e sulle disponibilità di risorse alimentari. Preservare e proteggere quindi anche le specie della terra, alcune in estinzione. Il mito dell’Arca, dunque, offre secondo la sua narrazione mitologica la misura, l’opportunità di resilienza dell’ecosistema globale del pianeta. Il diluvio, storia senza tempo, nuovo ordine della Creazione, atto di punizione di una natura che si erge a “divinità…”.