Le antiche voci del fiume Aterno intorno alle mura della città dell’Aquila.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

“… Dove poi quell’acqua riappare in forma di fiume, chi ne segua il corso – scrive Ignazio Silone – scopre che soltanto con uno sforzo di secoli essa ha potuto aprirsi una via d’uscita verso il mare, formata tanta parte dello spirito abruzzese…”, con i suoi miti, le sue leggende, le sue superstizioni; spirito che riemerge, riaffiora proprio dalle acque del fiume Aterno e lungo le sponde del primo bacino idrografico degli Appennini, guida e anche sentiero, via di comunicazione del paesaggio fluviale dalle molte voci, traccianti una cultura poco conosciuta che si appoggiava sulle rive, lungo i 145 chilometri del percorso ( 75% in provincia dell’Aquila) che il fiume Aterno compie dalle sue sorgenti diffuse di Aringo e Capitignano, attraverso ambienti umani e geografici ( Alta, Media e Bassa valle aquilana). I luoghi si modificano, sostanzialmente, anche spettacolarmente, con forre e i dirupi di Beffi e Acciano, fino al mare Adriatico. Spirito che riemerge, punto d’incontro di storie con il paesaggio agrario e il lavoro che sfruttava l’acqua del fiume; dei miti che lo sacralizzavano; dell’energia (i mulini, gli opifici), e feste e processioni delle Rogazioni che lo benedivano (ognuna dentro il suo territorio geografico di appartenenza, i paesi Barete e Pizzoli che alzavano i fuochi per consacrarlo), il fiume-divinità in definitiva. Maledetto nella sua siccità e nelle piene improvvise, devastanti, che cancellavano il lavoro di anni e anni, ma invocato per i nastri agrari, i fazzoletti coltivati, gli orti: tante texture, tasselli cromatici, affilati e sempre più ridotti poiché ereditati dai figli maschi, lussureggianti, opulenti, coltivati con cura. “Come un salotto di casa” i terreni, ci dicono, dalla sabbia fluviale finissima e dal limo depositato sul letto del corso d’acqua che fuoriusciva sui campi, drenati anche dalle sorgenti del Gran Sasso (il Vera) che arricchivano l’asta fluviale, appunto,  dell’Aterno. Spirito che riemerge attraverso testimonianze uniche, le voci del fiume  che si alzano, per non dimenticare questo enorme patrimonio di borghi, luoghi, simboli e segni del lavoro fluviale voluti dalle acque: quando si pescava – adesso emergono i racconti – si faceva un argine nel fiume, si toglieva l’acqua e si prendevano trote, barbi, ceriole, anguille, qualche capitone e molti gamberi fino agli’70,  quando il fiume è stato distrutto con l’abbandono dei terreni, prima per cambiamenti sociali  e poi con l’inquinamento devastante di un micro-sistema fluviale fragilissimo, che si è scoperto, infine,  troppo tardi. L’acqua, allora, perfino si beveva, raccontano, era pulita, profonda fino a due metri in alcune buche o nelle anse. Anche la vegetazione è cambiata. I contadini sistemavano gli argini del fiume armandoli con le pietre a secco, tenevano puliti i pioppi, si “scapannavano” ogni tre anni, cioè, si potavano. Ogni contadino puliva l’argine del fiume dove c’era il suo terreno. In agricoltura il pioppo veniva utilizzato per fare le frasche per i fagioli, paletti per i pomodori e fronde per alimentare gli animali negli orti umidi di Onna. Non si sprecava niente e “il fiume era pulito come un prato”. Si aprivano le canalette con le saracinesche in legno e si incanalava l’acqua dentro i solchi nei “giardini dell’Aterno”. Ma la gran qualità dei prodotti agricoli fluviali della Rivera che arrivavano al mercato di piazza Duomo è finita, insieme al fiume Aterno, e alla sua storia narcotizzata, da riscoprire, per provare almeno a raccontarla, per non dimenticare…

 

Fossa, gli orti e gli affreschi di Santa Maria ad Cryptas.

Gli affreschi del XIII secolo della chiesa di Santa Maria ad Cryptas, i dipinti dell’Ultima Cena, rappresentano il pane dei pastori, il coltello degli ortolani, il porro ( si coltiva ancora oggi nei campi di Fossa), i piatti e le anfore di uso comune, in scala al vero. I racconti contenuti nella chiesa sono immaginati come un codice miniato, dato in lettura non nel chiuso di un castello o di un convento, ma sui muri di una chiesa aperta al culto per le popolazioni delle campagne: l’identità locale elevata alla sua massima rappresentazione religiosa. I Benedettini ebbero qui il merito particolare poiché portarono alle popolazioni rurali la conoscenza della religione colta, praticata dalle classi egemoni, traducendola in immagini semplici ed accessibili e recuperando nell’iconografia volti e, soprattutto, oggetti della civiltà contadina e prodotti agricoli del fiume Aterno.

Santa Maria ad Cryptas. Questa piccola chiesa ( m.25,60 x 7,80) risale agli ultimi anni del secolo XII ed è stata affrescata nel XIII. Molti oratori e cappelle furono edificati in quel periodo in Abruzzo, in aperta campagna, per celebrare sia l’adempimento di un voto, sia per testimoniare la devozione popolare per un luogo di miracoli e prodigi.

Le immagini.

Il corso del fiume Aterno, asta fluviale della regione Abruzzo,

Bene culturale paesaggistico, ma anche tracciato di voci e memorie sulla storia del lavoro e del paesaggio fluviale.

I gamberi delle sorgenti di Aringo, la pesca con la “Vada”, particolari dell’affresco “Ultima Cena” di Santa Maria ad Cryptas, Fossa, con “la “coltella”, il porro, il filone di pane tagliato, i pesci(Barbi)dentro un contenitore di terracotta, boccale e piatto della tradizione locale. I campi di Fossa e il fiume, l’interno dei mulini della Conca Aquilana ( Acqua Oria e Riolitto), spaventapasseri, l’aratro a chiodo per la lavorazione dei terreni, il fiume Aterno.