Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

Nella pianura dei borghi di Roio, con la sua grande calotta aperta, due stelle dialogano, si convertono, come l’apostolo San Paolo.
Due stelle si rincorrono nella notte di San Paolo. Qualcuno le ha guardate dalle case, dai Map , perché le “amare” stelle, e lo capiremo più tardi, prese dal cielo e calate nella pianura di Roio, oltre i miti e la leggenda, rappresentano una tessera di quello che resta di un territorio smembrato, un lembo chiuso e stretto dall’anfiteatro delle montagne che lo cingono nella periferia dell’Aquila, lo abbracciano, anche nelle sue storie, tante, anch’esse amare …
Ma cerchiamo prima di capire gli astri. Una delle due stelle è Sirio, la più splendente dell’intero firmamento, dopo il Sole la più rilucente, casa degli dei. Oggetto di culto e venerazione. “Ardente” nel termine greco, “Guida” la chiama Plutarco, “Stella dell’aurora” Omero; freccia per i Persiani, appartenente alla costellazione del Cane Maggiore, inconfondibile, dannosa per i raccolti, dicevano i Greci, e portatrice di epidemie, bianca come un diamante, dallo scintillio brillantissimo, stella magica nell’astrologia medioevale, tramonta per prima seguita da Procione, l’altra stella, più piccola, ma della costellazione del Cane Minore.
La notte di San Paolo, quindi, si vedono le due stelle a Roio. Una è piccola e una è grande. Queste due stelle, quando scende il sereno, portano fortuna: si farà tutta la raccolta del grano. Le due stelle sono chiamate il ricco e il povero. La grande va avanti ed è il ricco; la piccola sta dietro per tutto l’anno ed è il povero. Quando arriva il mese di maggio, la piccola va avanti e la grande la segue. Significa che nel mese di maggio, per una volta l’anno, il ricco rincorre il povero per fargli mietere il grano e gli dice: “ Vieni che ti faccio lavorare!”. Il povero però gli risponde: “ Se vuoi, mietilo tu il grano, perché io voglio lavorare tutto l’anno…”. ( Roio, tradizione orale)
Non sapremo mai se chiamarla fiaba, anche se i contadini di Roio leggevano le stelle, decifravano gli astri, e li “piegavano”, gli astri, attraverso le storie popolari, a conclusioni, che soltanto le novelle sapevano riscattare. Certo, gli elementi narrativi, apparentemente, provano a disegnarla la fiaba nel suo fascino, provano a rappresentare la magia degli astri nella calotta stellare di Roio, ma poi, della fiaba, i contorni svaniscono, non sono più netti, dilagano, si allargano e lentamente sfumano fino a prendere possesso di un arco temporale della storia sociale delle comunità locali della pianura di Roio, che ci racconta, invece, un passato di vessazioni e oppressioni, di dignità del lavoro, di lacrime e rabbia per la propria condizione, che non mutava. Il lavoro di bracciante non era metafora. Famiglie numerose, pressione demografica, poche terre da coltivare e poi tutto il resto, montagna da dissodare, imponevano un’economia di sussistenza, affiancata a un’ attività bracciantile e pastorale che a Roio, come in altri distretti, per tutta la metà del Novecento, aveva retto all’urto delle crisi economiche, prima di liberarsi con l’emigrazione e il massiccio abbandono dei paesi verso le Americhe.
A 7 Km a sud- est dell’Aquila, Roio riunisce le frazioni di Colle, Poggio, Piano e Santa Rufina. Alcune frazioni sono state cancellate, dal sisma del 2009, restano soltanto i perimetri bassi, murari, come se si trattasse di un sito archeologico, ma prima erano agglomerati rurali, nuclei storici questi , di antica fondazione, dove si recava, molti e molti decenni fa, oltre che per riscuotere i fitti della mezzadria e della “risposta” ( contratti agricoli), Pasquale Fatigati, fattore, della famiglia Palitti, armentario e proprietario terriero “di tutto quello che c’era da possedere” dicevano, per informare che si sarebbe fatta, nella pianura di Roio, la gara del solco, “ La gara dejiu sulicu”.
Ricordava, monsignor Virgilio Pastorelli, prima degli anni ’30, un lume lontano verso Spidino, Le Canatre, La Serra. La gente guardava dalla “ Fontane”, tra Poggio Roio e Roio Piano. I contadini tiravano gli aratri con i buoi. La notte era chiara e il lume, lontano, indicava il punto di arrivo. Venivano giudicati la mattina dopo. Nel Ventennio fascista, il Consiglio delle Corporazioni e la Cattedra ambulante di Agricoltura, con la Colonia montana di Roio, aderivano alla richiesta di don Michele Palitti che organizzava la gara del solco. Una manifestazione che, inizialmente locale, divenne poi a carattere provinciale. Dimostrare la “forza dell’agricoltura” in piena politica della “Battaglia del grano”: la gara del solco idealmente riassumeva l’interesse verso questo settore. Ostentava la capacità di lavoro degli animali da tiro, i grandi aratri in legno e ferro per lo scasso dei terreni, la perizia degli uomini nel tracciare il solco dritto.
E allora, andammo a vederla,” la pianura”, con Franco Ciccozzi, classe 1930. Da un’altura mi mostrava il tragitto di una delle ultime edizioni della gara, il 1949, del mese di agosto. Parteciparono tutti i paesi di Roio. Dopo la trebbiatura, i terreni erano liberi, il percorso di tre chilometri, ci voleva oltre un’ora e mezzo per una coppia di buoi. L’arrivo era in un terreno di Palitti, contrada Serra, dove c’erano delle querce monumentali. Si passava con l’aratro e i buoi sopra le stoppie, dopo il raccolto del grano. Quando Palitti agli inizi del Novecento, ricordava infine monsignor Pastorelli, a San Lorenzo, offriva il pranzo ai partecipanti, dopo la gara, c’erano i poeti a braccio. Si alzò un poeta -pastore e disse :” Dove che siam arrivati, persino l’insalata, con la tassa vien mangiata”, cioè con tutte le tasse che avevano i contadini, anche l’insalata poteva essere tassata… Che storia, questa, sopra la “terrazza” dell’Aquila, forse un bene culturale immateriale, ma certamente molto più di una tradizione, che precipita giù, che affonda la sua cultura nell’età pagana, nelle dee Cerere e Vacuna, che presiedevano ai campi e alle messi, a loro venivano offerti i primi frutti della terra, ma prima la terra era solcata, fecondata con l’aratro e la semina: un rito magico propiziatorio, appartenuto, fino al dopoguerra, a una preziosa comunità locale, perché potesse sopravvivere nella memoria dello straordinario territorio aquilano.
I premi
I premi consistevano in aratri in ferro e legno, macchine per irrorare le vigne, utensili e diplomi. Il premio veniva vinto da chi, in un tempo massimo stabilito, rispettando il percorso ( che poteva essere ostruito da fossati e sbarramenti naturali, ma che comunque dovevano essere attraversati), riusciva a “tirare” il solco dritto. Una commissione, costituita da contadini anziani ( saggi dei paesi), stabiliva, dalle alture, dopo interminabili discussioni, il vincitore.
I buoi
I buoi venivano dai paesi di Roio. Preparati e guarniti con ornamenti e fiocchi ( significato di protezione e buon auspicio per i raccolti). Il colore dei nastri era blu e rosso ( lo stesso che veniva utilizzato per dipingere le sponde dei carri agricoli). La tipologia degli aratri era per lo “scasso” dei terreni. La contrada “Viario” era centrale nell’azione della gara del solco dritto.
Quel che resta
Il sistema dei borghi storici rurali minori e la loro collocazione geografica, in particolare Roio Poggio e Piano, sono stati cancellati dagli esiti del sisma del 2009 e con essi il valore dei luoghi. Persone e paesaggio architettonico fondavano legami, storie, in un diagramma di relazioni, si “chiamavano”, stretti e coesi, come le case e l’impianto rurale aggregativo che assomigliava solo a se stesso, con la sua particolare tipologia edilizia, e perché no , infine, si rincorreva anche intorno alle due stelle.
La scheda
La scheda fu realizzata con la collaborazione di Franco Ciccozzi, Franco Sfarra, monsignor Pastorelli, ripercorre e tenta di ricostruire un calendario, anche se approssimativo delle edizioni, le modalità di svolgimento, i premi della gara del solco dritto e concorre a ridisegnare i tratti di un bene culturale appartenuto alla storia della comunità di Roio.
La partenza era organizzata con le “biffe”, pali con le bandiere distanziati tra loro, dove prendevano posizione le coppie di buoi, l’aratro e l’uomo. L’arrivo era contrassegnato da una lunga asta con una bandiera, visibile, che indicava l’orientamento da seguire. La gara si svolgeva nel mese di agosto, dopo la trebbiatura.
Scassa Pietro nel 1930 vinse il primo premio. Ciccozzi Domenico vinse nel 1934, la coppia di buoi gli fu data da Fatigati Felice. Nel 1936 la gara si svolse nella pineta di Roio, vinse un rappresentante di Avezzano; il quinto premio andò a Santarelli Ascenso. Il 21 aprile del 1940, davanti alla colonia montana di Monteluco, si tenne una gara dimostrativa provinciale: il percorso era di 300 metri. Nel 1949 la gara partì da “Fornara ” e arrivò a “Serra”, il tragitto di 3 Km, il più lungo di tutte le edizioni, parteciparono tutti i locali, oltre trenta persone, vinse Santarelli Ascenzo, gli furono dati attrezzi agricoli. Nel 1951, in chiave dimostrativa, la signora Palitti mise a disposizione gli attrezzi e i finimenti di palazzo Palitti. Nel 1969, sempre simbolicamente, vinse la gara Paolo Fatigati; poi fu fatta la benedizione agli animali.
Le fotografie.

Immagine d’epoca della gara del solco dritto nella pianura di Roio, il diploma, Franco Ciccozzi sull’antico percorso, l’aratro a chiodo e i suoi elementi costitutivi in legno e ferro, il giogo in legno.

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