Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Metà del II secolo a. C., marmo lunense, ermafrodito dormiente. La scultura è ubicata nel palazzo Massimo, Roma. Giovane, si riposa dormendo, la testa appoggiata sul braccio destro che sostituisce il cuscino. Raffinato personaggio dai capelli lunghi raccolti nella nuca, mentre una ciocca sulla fronte è fermata da una gemma. Dalle linee plastiche delicate e sensuali di un eros dormiente appunto (i fianchi scendono e si inarcano sapientemente) che ostenta, scoperti, i glutei rialzati così voluti e ostentati. Quasi fossero offerenti di un dono spregiudicato, rispetto alla schiena e le gambe invitanti dell’atto, quasi volesse offrirsi il dormente e donarsi nella sua carnagione candida bellezza raffinata delle forme ellenistica di puro realismo. La bellezza del corpo è maschile ma anche femminile all’unisono, ermafrodito quindi, che nella mitologia greca si riteneva figlio di Ermes e di Afrodite. Ovidio lo osserva come un ragazzo trasformato in androgino dalla doppia sensualità soprannaturale di cui è complice la ninfa Salmace. Statua ellenistica con gli organi maschili e femminili, essere ibrido per metà con il sesso maschile e i seni da giovane donna. Sdraiata la scultura ammiccante con una forte carica sensuale ed erotica, doppia identità. Il panneggio è allontanato dal corpo, scivola volutamente e teatralmente per sempre sull’ermafrodito, la gamba sinistra invitante e complice, la nudità della scultura si rivela per intero lì dove gli sguardi della voluttà (così è voluto dall’autore) si concentrano… Il volto è femminile, l’organo sessuale maschile, l’intera scultura è provocante secondo i canoni dell’epoca e senza esitazione, perversa a tratti, quasi inquietante nell’allusione, poiché vuole concedersi in quel mix di seduzione. Ma a chi?