Le Pagliare di Tione. Lavori in corso: dove il mito e la realtà si fondono. La costruzione della leggenda.

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Lo sforzo antropico dalle valli in altura, la colonizzazione lenta e progressiva, gli impianti urbani autocostruiti in pietra e calce, isolati ma aggregati, solidali, come dadi gettati sul lembo paesaggistico che decresce sui piani ellittici sottostanti e fronteggiano le balze e le falesie del versante occidentale del massiccio del Sirente. Le Pagliare, parola forza – magica, intraducibile affiancata al mito, dal locale sopraelevato i mazzamurielli scrutavano i pastori – raccoglitori, tanto che la storia torna indietro con la pantasima divinità greca, spirito vagante dei boschi. La pantasima riesci a sentirla in questo luogo metastorico così da sempre, topos bagnato dagli umori arcaici dove si danno convegno creature che abitano le viscere della terra e risalgono. Desta impressione, però, pronunciarla questa parola, trascina le suggestioni, il sogno, l’utopia e la realtà che lì si fondono. Un medioevo inesplorato di eventi e sacri giuramenti, e tra le casette indifese delle Pagliare con le travi che sostengono il piano superiore e il pavimento in pietre misteriose e cromatiche, si adombra la sagoma, nella notte fonda della luna piena del drago che lì si aggira. Una sorta di drago e un Ivanhoe che lo insidia, in questa regione del “non accade”, Wantley velenoso e spumeggiante di fuoco, è braccato, e muove le sue ombre intorno alle casette. Il medioevo fantastico delle Pagliare da inseguire, si compendia in nuovi scenari di inestimabili tesori di questo paesaggio – frontiera – ancora si nutre. I cavalieri medievali che si riuniscono, la nascita di un giuramento solenne tra le lame alzate delle spalle che luccicano all’alba e i cantastorie che si impossessano delle parole e poi giù a valle girano i borghi di Fontecchio e Tione degli Abruzzi, Acciano, San Demetrio né Vestini per narrare, sui loro grandi drappi dipinti con figure, le gesta e i destini che non vedremo mai e poi mai, ma sappiamo che da qualche parte ci devono pur essere. I castelli e le torri di avvistamento dell’Alto medioevo sono ancora intatti, respirano un dono di mille anni, sconfinano oltre i limiti del verosimile. Il non – luogo dell’immaginario ma che accade, le casette delle Pagliare, topografia del fantastico tra draghi, scontri, fate e cavalieri dunque: una linea mai spezzata, un pensiero, che orienta e ci conduce al libro delle meraviglie da qualche posto sepolto nel villaggio che molti ancora cercano, alcuni dicono tra la chiesa della Madonna di Loreto e l’aia dove San Giorgio ha salutato la principessa prima di lanciarsi contro il drago coperto da lampi e fuoco. E quel monaco cistercense in viaggio, dalle pendici del Sirente, risalì la china e bevve l’acqua da una fontana delle Pagliare, quando alzò la testa vide unicorni, serpenti dalla zampe dorate, lupi dalla fattezze umane, grilli con la corazza, come se fossero usciti da un bestiario di miniature medievali, lo invitarono – non c’è nulla di ingannevole gli dissero – ad accostare il reale al fantastico, la simbologia e la figurazione, guida e stretto sentiero per liberare infine i sogni e i desideri, la parola con l’azione, la cronaca con la leggenda, e carpirne i profondi significati per la totalità del creato, dissero al monaco, che rimase tutta la notte a parlare a se stesso, e ripetersi e ripetersi, fin quando all’alba sparì. E’ questa delle Pagliare di Tione in definitiva la cornice scenografica – cosmologica di eventi che abbiamo visto fin qui, e figure allegoriche, come fosse una pergamena che si srotola e lentamente rivela significati sui quali ancora oggi ci interroghiamo. Le Pagliare di Tione, ne siamo convinti, fagocitano addirittura Tolkien e il “Signore degli Anelli”, l’immaginario adesso qui è in galoppo, ha superato Le Goff, Graf, Duby, Umberto Eco, oppure I cavalieri dell’Apocalisse, ha sete di imporsi, vuole recuperare lo scibile andato disperso dal sudore e dalla fatica, dalla miseria e povertà degli uomini e delle donne delle Pagliare. Dagli inverni della legna alla stagione dei raccolti con i figli dentro i cesti, uomini considerati animali da soma nel salire e scendere una montagna che sembra quella di Teofilo Patini (pittore dell’Ottocento) nelle tele “Bestie da soma”, “Vanga e latte”, “L’erede”, non certo di un “Abruzzo forte e gentile” a cui si ascrivono autori nativi di quest’area geografica. Più volte al giorno, quindi, quegli uomini, che trascinavano slitte da carico, senza potersi emendare dal proprio ruolo, senza prospettiva e futuro: una parola – traccia sconosciuta e arcana questa, lasciati al loro destino certo, solo con il compito di replicare il proprio sé perimetrato, senza soluzione di continuità per tempi immemorabili, per secoli e secoli. Tutto abbiamo tolto a loro in questo lembo stipato dell’Appennino interno visto solo dalle Aquile, non la luce, la vita, l’amore, gli eroi silenziosi, l’affabulazione, i segmenti intimi del racconto e la bellezza delle fiabe che abitano, le puoi vedere, toccare, sui muri, sulle porte, ancora, abitano dentro le casette delle Pagliare di Tione. Abitano lì le fiabe e si nutrono, possiamo starne certi.

N.B. Approfondimenti sui miti popolari. “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi. Capitolo “Spiriti del bosco”, parte 16.