Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

Rito e cibo. Si sono messi in cammino da qualche giorno, spostati lentamente ma costantemente si sono avvicinati, hanno attraversato il lungo inverno e preso possesso del quadrante temporale, lo “snodo” transitorio, il crocevia della liturgia, il cerimoniale del “passaggio”, il protocollo spirituale della festività precedente la Pasqua (simbolicamente il buio viene lasciato a favore della luce, per la nuova stagione) su cui convergono cattolici, ortodossi e protestanti in un’unità ritrovata: la Domenica delle Palme.
Rito e cibo. Purificazione del corpo e presagi del pane dolce si aprono, sono annunciati nel culto popolare che prende forma con la quajjata (crema di latte coagulato con il caglio) offerta ancora in dono la mattina del giorno delle “Palme” in alcuni centri dell’aquilano, in quel simbolo di purezza, autenticità e preparazione alla settimana della Passione imminente, prima che “l’intervallo”, l’arco temporale degli eventi luttuosi, si apra fino alla sua massima flessione nel significato del lutto: il Venerdì Santo.
Cibo-messaggio, quindi, magico, ma anche allegoria, quella dei pani dolci (anche con lo zafferano), preparati per propiziare il divenire, così un tempo ritenuto, il divenire dei giovani: cavallo, ciambelle insieme alle uova, pupe modellate per le bambine, tanto da augurare il passaggio da una vita puberale alla maturità. Il cavallo, invece, simbolo di forza e coraggio, per i maschi, nelle svariate forme che sembrano riemergere da un arcaico disegno di un mondo iniziatico nel quale i pani mangiati il giorno di Pasqua rendevano gli stessi giovani immuni dalle malattie, dal malocchio, attraverso i dolci pasquali, appunto, siglati con le iniziali in rilievo dei giovani: messaggio mirato, personale, sigillo, nella simultaneità con la Pasqua, simbolo come sappiamo di Resurrezione, ma anche rinascita della natura, buon auspicio per la nuova stagione agricola nelle culture agro-pastorali.
Fecondità, quindi, le pupe di pane dolce, transfert ( trasferimento su una persona soggetta ad un conflitto) con l’uccellino modellato sopra il dolce, simbolo sessuale, di un’unione, per augurare fertilità, oppure l’uovo nel ventre della stessa pupa: magie, sortilegi scongiurati, quindi, di culture locali comprovanti una matrice organica e solidale di un certo modello culturale ormai quasi del tutto disperso, effimere forme cotte al forno o sotto la brace del camino, interpreti di storie e processi mitici di un lontano “passaggio” nella storia e nel tempo, organizzato con la saga ( racconto epico leggendario) della Pasqua di tanti e tanti “idoli” da mangiare, una sorta di talismani, divinità altre, vissute ed allevate, però, nel grembo e nella pratica della religione cristiana: le pupe di pane dolce augurali.
La scheda.
-Lo storico e sacerdote Giuseppe Celidonio ( 1852 -1913 ), nel volume “ la Diocesi di Valva e Sulmona, menziona un documento del 1276, un Inventarium del monastero di Santa Maria in cui nel Sabato Santo si raccoglievano le uova “lesse e pinte”.
-Rosa Gualtieri, nata nel 1909 a San Benedetto in Perillis, ogni anno, durante la settimana che precede la Pasqua, preparava l’impasto e modellava i pani cerimoniali: le pupe, il cavallo, le borse e le ciambelle ( vedi foto in bianco e nero di Rosa con i nipoti). Alle bambine tra i dieci e i dodici anni veniva data la “pupa”. In passato, queste, si conducevano nei campi per iniziarle al lavoro. I maschi, invece, ricevevano il “cavallo”, simbolo di forza, rappresentando essi la futura forza lavoro. Venivano consumati il giorno di Pasqua al fine di rendere i giovani immuni dalle numerose malattie sociali endemiche, secondo i dettami della cultura popolare. Un altro aspetto è costituito dalla memoria ( San Benedetto in Perillis, in epoca preromana ed altomedievale, confine tra Vestini e Peligni), dalle contaminazioni della storia di antiche forme culturali che sembrano riemergere da un lontano passato materializzato nelle fatture, nelle fogge, nei segni dell’età romana (vedi disegno di Duilio Chilante, la pupa di Rosa Gualtieri):l’acconciature, le armille, la fascia che sostiene il seno di impronta romana, insieme alla gorgiera spagnola del collo, di epoca successiva, richiamano evidenti simboli preservati e restituiti da questa rappresentazione naif nei pani dolci, oltre agli aspetti apotropaici dei pani, finalizzati ad annullare e allontanare la presenza maligna.
Nota. Il “panicello” si regalava nel giorno di Pasqua al pastore che riuniva le pecore dei piccoli proprietari per condurle al pascolo. Lo svecciatoio in ferro (vedi fotografia), sostenuto da pali in legno e mosso manualmente, ventilava e separava la pula dal grano, macinato, poi, per preparare anche i dolci.
Dal rito, alla preparazione dei dolci di Pasqua.
A cura dello chef Stefano Mazzetta, ristorante “ I due ladroni”, San Vittorino – L’Aquila.
La pizza di Pasqua nella tradizione locale.
Ingredienti:
– 350 grammi di farina
– 180 grammi di zucchero
– 4 uova
– 0,5 dl (decilitri) di olio di oliva
– Un nonnulla di liquore di anice
– 20 grammi di lievito in polvere
– Burro q.b. per ungere la teglia
Procedimento.
Sulla tavola, meglio se di marmo, versare la farina a fontana e calare lo zucchero, aggiungere 2 uova e profumare con il liquore di anice, infine aggiungere il lievito e lavorare l’impasto fino ad ottenere un amalgama piuttosto liscio e morbido.
Prendere 2/3 della massa e formare una pagnotta, poi preparare dei listelli con lo stesso impasto, più o meno dello spessore di una matita; al centro della pagnotta inserire un uovo fermandolo con i due listelli, disposti ad “X”. Far lievitare per 2/3 ore in luogo caldo, disporre su una placca o teglia imburrata, spennellare con uovo e cuocere a 180°C fino a doratura…
Semplice e vera, c’è chi preferisce lo zucchero a granella….chi le decorazioni che desidera….mentre all’interno è possibile aggiungere i semi di anice….
Le fotografie, le fonti documentarie raccolte, i centri: Capitignano ( la benedizione delle pupe dolci), Montereale, Fontecchio, Navelli, Civitaretenga, L’Aquila, Collepietro, San Benedetto in Perillis, San Demetrio né Vestini, San Vittorino (chef Stefano Mazzetti).

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