Le vele nel vento di Campo Imperatore.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

” Avevamo sentito parlare di Pian d’Emperatore – scrive Eslella Canziani nel suo libro “Attraverso L’Appennino” del 1928 – una immensa distesa d’erba bassa lunga 20 km., lontana dalle montagne, dove migliaia di pecore erano portate al pascolo. In fondo avevamo l’immensa catena del Gran Sasso sulla sinistra, c’erano colline verdi che chiudevano la pianura e a circa 20 km., nell’altra direzione vedemmo il bosco. Giungemmo ad una piccola depressione nella pianura verde e ci trovammo muli selvaggi, cavalli con i puledri tutti in gruppo. Muli e cavalli sono allevati a Pian d’Emperatore e lasciati selvaggi per tre anni, dopodiché sono presi al laccio; verrebbero strangolati dal nodo se continuassero a lottare. Ci vogliono cinque uomini per tenere un animale. Poi un uomo sostiene una rozza briglia di corda all’estremità di un palo e tenta di farla passare dolcemente sulla testa dell’animale…” segnalato oggi anche sulle indicazioni stradali poste lungo la strada 17 bis che attraversa “Campo Imperiore” o Campo Imperatore, ” Conca chiusa”, di origine tettonica, ecosistema formato da antichi depositi glaciali, anfiteatro cromatico e bacino naturale ricco di storia e storie ma anche serbatoio idrico, sollevato e quasi nascosto dal periplo delle alte cime dell’unità morfologica: il nostro paesaggio dell’Antartide, inimmaginabile alle quote più basse, ” laboratorio” dell’Appennino, chiuso a chiave con un unico accesso (qualche volta) dal lago Racollo, come in questo periodo quando anche i ” cavalli”, stampati sui segnali stradali escono dalla neve, curiosi, e quasi metafisici, tanto che qualcuno non resiste a farsi fotografare accanto a quei triangoli rossi che sbucano sotto tre metri di neve dal nastro stradale sepolto: segnalano l’attraversamento delle mandrie al pascolo, in un paesaggio che la natura si  ripreso e custodisce per diversi mesi, ricondotto all’origine, con i suoi forti venti invernali, in questa vasta zona suggestiva tra i 2130 e i 1450 metri. E’ lunga 18 chilometri e larga da 1 a 4 km: una gigantesca pista, levigata, battuta dalle bufere, quelle che non lasciano scampo e inoltre piattaforma, levigata come il marmo, per loro, per quelli del kitesnow, per quelli delle emozioni da cercare a tutti i costi con la vela, anch’essa metafisica, che “navigano” sull’Appennino, cercano le rotte, anche di “bolina”, e con i venti si ritrovano sulla neve a sciare portati dal vento di Campo Imperatore. Dalle vele, gli aquiloni così chiamati che devono avere una buona efficienza per trasportare la persona e garantire una buona trazione, all’imbracatura, chiamata trapezio, simile a quella del windsurf, munita di gancio, per alleggerire lo sforzo degli arti superiori che si occupano della manovra e degli spostamenti sulla neve, si passa poi all’attrezzatura necessaria costituita dalla tavola da neve con la punta e la coda a sciancratura, perfettamente identiche, poiché permettono di andare avanti e indietro, bi-direzionali, con una navigazione continua, senza girare lo sci, con la posizione dei piedi che rimane invariata, spinti dal vento e da quell’effetto “galleggiamento” dentro lo spazio immenso, vuoto, senza leggi e regole di Campo Imperatore, senza rotte stabilite, in fondo quello che cerca l’aquilone delle nevi del Gran Sasso.

Le immagini del kitesnow sono: Pinterest, snowkite – gosnowkite-com, Avvetura italia, iStock.

Corno Grande e Campo Imperatore nel paesaggio coperto di neve, levigato, pronto per il kitesnow, gli aquiloni, le vele, che spinte dal vento permettono di sciare sulla vasta pista.