Testo e fotografia Vincenzo Battista.
L’infinito irrompe nella dimensione spaziale e temporale dei manufatti in pietra, nei luoghi che attraversiamo, su cui poggiamo i nostri sguardi, cioè nel fondovalle del Fiume Aterno. Davanti a noi le orme dell’abitare temporanee, le capanne autocostruite in pietra e gli accumuli di macerine, una sorta di totem di mucchi calcarei, “invisibili” in apparenza nel paesaggio, poiché declinati a un tempo remoto, ma che testimoniano ancora oggi tanto nelle loro forme, quanto nei linguaggi e nei riferimenti della cultura materiale a cui appartengono, una funzione appunto economica se pur marginale ed un uso strategico di ricovero per le comunità locali. Oggi, non hanno più status, non hanno più valore, fuori dal mercato, sono naufragati tutti i riferimenti e rimandano ad una dimensione concettuale, da dispiegare e comprendere, storico – ricostruttiva dell’habitat e gestione del paesaggio. Costituiscono, pertanto, un “infinito”, impalpabile, che cerca di imbrigliare il paesaggio e le sue storie, se non rintracciabile nell’epistolario collettivo, nella memoria e nel suo impianto primato per secoli appunto di infinito… Tracce queste sempre più labili, purtroppo, radici antiche nella cultura delle comunità locali che lentamente ma inesorabilmente perdono adesione, riducono il loro ancoraggio così come i cambiamenti, demografici , generazionali in questa area geografica: lo spopolamento e le mancate risposte se pur alle minime necessità della ridotta popolazione locale, che si spengono, inesorabilmente condannate alla marginalità se non alla scomparsa, e irrilevanza, purtroppo la meta finale di questo infinito…









































































