Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Con Luigino Barbati, il viaggio, la conoscenza.

“La Villa”. Il complesso degli edifici adibiti a luogo di ricovero per animali. Al loro interno le cavità scavate nella montagna per guadagnare spazi.

Dagli 880 metri dell’ultimo abitato nella cuspide urbanistica di Secinaro, ai 650 metri della località “La Villa”.

“La Villa”, l’insediamento così denominato per l’allevamento stanziale con stalle e fienili, ubicato alla pendice dell’impianto urbanistico del borgo di Secinaro.

Le costruzioni che insistono storicamente nell’ agglomerato “La Villa” sono in due piani sovrapposti, quello inferire adibito a stalla, quello superiore a pagliaio. L’abitato è orientato su una direttrice est -ovest, come si evince dalla planimetria ed è disposto e segue le curve di livello morfologico, l’orografia del terreno incerto e irregolare. Un asse principale separa le quinte delle costruzioni che in alcuni esempi si compattano utilizzando le stesse facciate che si alzano appunto sui lati della viabilità attraversata un tempo dagli animali condotti dagli allevatori. Le costruzioni sorgono e si appoggiano su impianti di roccia. Le grotte hanno una profondità fino a venti metri. La pendenza del terreno e il declivio rilevante hanno permesso di appoggiare una parete delle costruzioni direttamente a contatto del terreno e della massa rocciosa del pendio.

D’inverno molte persone di Secinaro dormivano nelle stalle della località “La Villa”, per riscaldarsi con il calore emanato dagli animali.

L’organizzazione spaziale del locale, i modelli autocostruiti dagli allevatori di Secinaro. La cultura materiale e le soluzioni adottate. Le grotte, le cavità, da decenni scavate nel locale della mangiatoia, la stalla, e sopra il pagliaio. Con una apertura sulla stessa mangiatoia questa permetteva di far scendere il fieno, dal locale superiore, insieme alla paglia direttamente sulla mangiatoia. I muli e gli asini venivano alimentati con la paglia poiché non lavoravano in montagna e nei campi in inverno. Il fieno e l’erba medica per i bovini. Si univa anche paglia e fieno. Sul bordo della mangiatoia in muratura una trave in legno con i fori per legare gli animali e tenerli allineati. Il pavimento della stalla era di regola un selciato in pietra con una leggera pendenza dalla mangiatoia, e un gradino con il piano di selciato più basso e contiguo, per le deiezioni degli animali negli allevamenti in stalla, che scivolavano sul piano inclinato e trasportate per lo stoccaggio nella concimaia. In questo modo il pavimento in pietra della stalla era sempre pulito. Sotto la mangiatoia le nicchie per le galline: deponevano le uova. L’accesso per salire al pagliaio, sulla parete, era costituito da spuntoni in pietra che fuoriuscivano dal muro, consentendo l’appoggio dei piedi e salire nel fienile: sostituivano le scale in legno. In alcune stalle, ma che presentano una grotta contigua scavata, è stata costruita la cisterna o il pozzo: raccoglieva l’acqua dal tetto e ha diverse capienze (100 ettolitri nella cisterna, nel pozzo invece una ventina di ettolitri), ancora presente è limpida nel suo liquido. Quando i tetti non permettevano lo scivolamento e la canalizzazione dell’acqua piovana, si approvvigionava l’acqua nei fontanili del paese e con le bigonce di legno, in diversi viaggi con l’animale, si portava l’acqua collocata in piccole vasche. In alcune cisterne i contadini foravano la muratura per le prese d’aria, affinché l’acqua fosse sempre ossigenata e non si alterava per il fabbisogno gli animali. Nelle stalle, sulle pareti, le nicchie per i lumi a petrolio. Le porte d’ingresso con un foro per l’accesso dei gatti, una precauzione per tenere così il locale e il pagliaio lontano dai topi. La volta presenta ganci in ferro dove era inserito un palo per sostenere i cesti con i prodotti per alimentare gli animali da cortile. Il fieno. La prima falciatura veniva effettuata entro il dieci di maggio, la seconda e la terza entro l’estate. Gli intonaci della stalla in calce (preparata nelle calecare a Secinaro, fornaci in cui la pietra calcarea era portate ad alta temperatura che così si scioglieva per la produzione di calce viva: carbonato di calcio), pozzolana e sabbia quest’ultima estratta direttamente nelle cavità della stalla. Le grotte venivano scavate con il piccone, caricato il materiale poi nei tini di legno, si setacciava la rena, secondo la grandezza, e quella più sottile serviva per gli intonaci della casa. Gli uomini picconavano la roccia l’inverno, si davano il cambio per il trasporto della rena con i muli, nel paese distante circa due chilometri. Per ricavare e scavare una grotta con le anse e le varie diramazioni di considerevole altezza, concorrevano con manufatti in ferro intere famiglie, da generazioni: la grotta si allungava, si proseguiva nello scavo, all’interno si ricavava il porcile armato con le pietre in una nicchia. Si utilizzava lo spazio aperto nella roccia per gli attrezzi agricoli, erpici in ferro e utensili per la lavorazione dei campi, selle, basti e finimenti per gli animali da carico che si muovevano in direzione dei boschi del Sirente per il taglio e il trasporto della legna, il commercio, le fiere, e nelle campagne della Valle Subequana. I capretti appena nati dovevano essere protetti nelle grotte, tenuti lontani dalle madri, separati. Si costruiva così un recinto in pietra.

Racconta Bernabei Vittorio, classe 1944, “A Secinaro si iniziava a scavare dalle quattro del pomeriggio, per tutta la durata dell’inverno. La rena estratta si impastava con la calce. Le grotte le hanno scavate prima il bisnonno, poi il nonno, il padre e il figlio che ha lasciato quel lavoro ed è andato emigrato nelle Americhe. Dentro le grotte il vino si conservava nelle botti. Ho visto scavare mio nonno nel 1955, ero bambino, avevo 11 anni. Con la rena scavata si sistemavano le pareti delle case, i camini di Secinaro, i tetti. Avevo 20 anni, caricavo alla “Villa” la rena nei bigonci e con i muli la portavo a Secinaro. Dormivamo sopra la paglia, nelle stalle per il grande freddo che faceva per riscaldarci con il caldo del bestiame. D’inverno bisognava “stramare” gli animali.