Lo zafferano rinasce a L’Aquila. Campo di Fossa e Porta di Bagno. (Seconda parte).

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Sotto di noi Porta di Bagno, le siamo quasi sopra con i fiori di zafferano e la “sfioritura” degli stimmi a Campo di Fossa. I conci in pietra a sesto acuto compongono l’arco della porta con la sua torre espulsa dalle mura secondo il dettato difensivo. Un quasi nulla per come si presenta: prima così ingoiata dai palazzinari orgogliosamente aquilani, poi coperta dall’asfalto per metà del quasi nulla e da una laconica ringhiera, da quella porta entrava lo zafferano, compromessa. Le mura, invece, frustano lo scoglio calcareo che precipita nel fiume Aterno, si tendono come un cordone elastico per poi rilasciarsi, ombelicale sì, che tiene fermo il principio dello status quo quasi onirico ( sicuramente sono nate da un sogno…), difensivo ma che contestualmente guardavano il contado e le sue economie medievali di ritorno: Aquila città – territorio delle Arti e dei mercati dello zafferano proclamata, ma vera, e molto avanti nel tempo, allora; ma ora da Campo di Fossa “cadono” nel declivio le mura nella loro ansia difensiva (possiamo solo pensare a dei “folli” che costruirono le impalcature in legno su quel baratro per portare i tavolati, calce e pietre, e poi come non vedere l’affresco del “Buon Governo”, 1337-1340 circa, Siena Palazzo Pubblico, sala dei Nove di Ambrogio Lorenzetti: la costruzione della città con i ponteggi e le mura), ripiegano a cuneo, giù, per poi ripartire oltre le leggi statiche, ricondotte a ragione (in queste condizioni statiche dell’apparato murario esterno proprio qui, nel precipizio, il tracciato di pietre assume i contorni leggendari del mito), quando prendono poi la china, si insinuano, faticano, trasudano, le mura, ma affermato il loro principio di potere assoluto, risalgono, le mura, nei basamenti fondativi propri che le appartengono quasi da irresponsabili nel Medioevo su quella forra, ma lì invece intatti, le mura ancora, tagliate nella sommità , a gradoni, le vediamo nel restauro conservativo. Le mura di cortina, infine, si flettono, scompaiono oltre Porta di Bagno, serrano il campo di zafferano quasi a proteggerlo al suo interno, nel curvilineo sinuoso che incontra il suo orizzonte. Le mura, i suoi occhi, che si aprivano sul paesaggio e i campi di zafferano.

Secondo tempo. Lo zafferano sopra le mura dell’Aquila.

Gina Sarra (Civitaretenga, frazione di Navelli, recentemente scomparsa), se fosse vissuta nel Rinascimento, l’avrebbero chiamata Donna – Madonna zafferano (per rispetto): è lei che dà nel 2018 a Mago Merlino (vedi la prima parte) 50 chili di bulbi di zafferano da trapiantare. Inizia così la produzione degli stimmi rossi fino ad oggi, tanto che da Remagen (Renania-Palatinato), in Germania, l’anno scorso inviarono 1500 euro, in acconto, per una partita di zafferano. Non ci fu produzione e i 1500 euro furono restituiti. Quest’anno, di nuovo, hanno inviato il bonifico ancora di 1500 euro per avere lo zafferanno in fili dell’Aquila, e saranno accontentati: la produzione ottimistica si stima in abbondanti grammi di Croco Sativus in fili, e tutto sembra andato bene. Ma con i tedeschi, vediamo, non è che sia andata sempre cosi. I ricchi mercanti di Norimberga, Augusta, Ulma, Nebbinger, anche loro pagavano in contanti e in anticipo: siamo intorno al 1569 a L’Aquila, ma in cambio ricevevano solo zafferano contraffatto, alterato o peggio raffinatamente adulterato. Gli aquilani dentro le libbre pronte per la spedizione ci mettevano di tutto per aumentare il peso e quindi consapevolmente : “ carducci, carne, pium’arso, avena, zuccaro, mele, vino ò altra qualsivoglia mestura et falsità, sciroppi caramellati, avena ‘abrustulita’ e pesta, fibre di carne affumicata per la quale se viene ad a agumentar il peso, et deteriorar et falsificar le zaffrane… “. Sì, così si truffava e non bastavano le sanzioni contenute dei “Capitoli della Zaffrana”: “cinq’anni de galera et ancho de perdere le zaffrane et farle brusciare nela piazza pubblica della città dell’Aquila”. No, non si fermarono gli aquilani, non si arrestarono, narcotizzati dai profitti illeciti e dagli enormi introiti, nemmeno davanti alle nuove norme promulgate per porre un freno alle frodi fiscali sullo zafferano, come si è detto, e tanto più innanzi agli agenti tedeschi, ai loro intermediari, costretti a risiedere nella città dell’Aquila per controllare le libbre, l’imballaggio e la spedizione dei soli stimmi verso la Germania, nella grande piazza della città: gli agenti fermi, in piedi a controllare con i loro interpreti, a visionare, a chinarsi sulle balle, aprirle e affondare le mani negli stimmi rossi, il contenuto di spedizione, ma forse inutilmente, poiché gli aquilani, dall’altra parte della piazza, con il loro “demone” dello zafferano che si insinuava su quelle enormi montagne di zafferano sul basolato, sopra tutto e tutti… Provate a pensare com’è finita.

Lo zafferano rinasce a L’Aquila. Campo di Fossa e Porta di Bagno. (Seconda parte).