Lo zafferano sopra le mura dell’Aquila. Torna. Adesso. (Prima parte)

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

L’Aquila, Campo di Fossa, un fazzoletto di terra coltivato, dentro e a ridosso delle mura urbiche, 60 grammi il ricavato di zafferano: potrebbe essere il testo di un telegramma del secolo scorso o ancor meglio prima, sbiadito, abbandonato dentro qualche comò, in un cassetto. Potrebbe, lo vedremo. Lo zafferano. Abbiamo le fonti storiche ( Buccio di Ranallo tra tutti) e le citazioni medioevali, le leggi per far transitare lo zafferano dalla città dell’Aquila al suo Contado ( re Roberto D’Angiò) – merce pregiata – liberalizzata, fuori dalle gabelle imposte dalle dispute dei confini feudali; abbiamo erbari e trattati botanici in tutte le epoche e una quantità tale di protocolli a tutela delle sofisticazioni e disposizioni per evitare la concorrenza, statuti e disciplinare; abbiamo affreschi dipinti cromaticamente con impasti di terre naturali e zafferano, stampe, miniature, dispositivi sacri come la “Madonna parlante” a Civitaretenga, regolamenti sui mercati, leggende e miti classici, poi Pascoli, D’Annunzio e Gadda ( solo per citarne alcuni), i commercianti, gli incettatori che facevano cartello sui prezzi; abbiamo i palazzi e una Basilica dell’Aquila costruiti con i proventi dello zafferano insieme alle prediche di un santo aquilano contro le contraffazioni del fiore e, abbiamo, la povertà dei contadini che producevano la spezia nei campi (oggi possiamo ancora – fino a metà novembre – vedere con quella particolare tipologia agraria dei solchi e coltiva), arricchivano altri ma loro rimanevano tali; abbiamo le fonti sulle spezierie dei monaci delle abbazie – le virtù medicinali – nelle manipolazioni ed infusi preparati a base di zafferano per loro s’intende, e oggi i gourmet con ricette apocalittiche nel gusto, la farmacopea ufficiale per i medicamenti, ma anche i rimedi popolari, cioè la medicina alternativa che utilizzava lo zafferano in stimmi per curarsi (non c’erano i medici per i contadini, e allora, le donne dell’Altopiano di Navelli si mettevano in bocca una poltiglia di stimmi di zafferano, e poi la avvolgevano nelle gengive dei neonati ai primi dolorosi denti), ma anche le pozioni con lo zafferano ( i Sumeri) magiche- curative utilizzate dagli stregoni – contadini dei borghi dell’aquilano insieme ai “brevucci” propiziatori e apotropaici dati ai bimbi appena nati per allontanare il male metafisico sempre in agguato e ancora, le famiglie tingevano i panni di lana tessuti al telaio con gli stami gialli e il fiore viola, e nel cartone animato della Pixar Ratatouille :““Ahhh… L’Aquila saffron… Gusteau says it’s excellent!”; abbiamo le fiere ( le stesse, attive ancora oggi), i mercanti, la dote da offrire ai figli con la vendita dello zafferano (l’oro e il corallo comprato dai coloni per le figlie giovani spose, vedi F. P. Michetti e la pittura dell’Ottocento). E se non bastava, a quel baratto, sopra i tavoli delle bancarelle, si univano i debiti: ci si impegnava a lavorate la terra dei padroni terrieri oltre la schiavitù diffusa della persona, oltre… per far fronte alla dote per le figlie femmine, nei latifondi agrari delle Conche aquilane si faceva di tutto nelle campagne senza potersi emendare; abbiamo tutto questo, ma non abbiamo mai documentato la “visione”, scenografica, la “percezione”, chiamiamola così, di questa coltre di bruma quasi da tagliare, a fette, avvolgente e misteriosa a tratti “molto aquilana”, da sempre immaginiamo… e quel vento pungente che ti taglia la faccia, all’alba, in queste prime luci surreali, di fine ottobre, quasi da fiction sulle pietre e lo capiremo, quella luce che non è mai cambiata, sì, qui, dove siamo, proprio a Campo di Fossa, “dentro e a ridosso delle mura”. E quindi non è un telegramma” ma, viceversa, adesso, riusciamo a percepirlo, quasi sbucasse dalla coltre, quel fazzoletto di terra coltivato con lo zafferano dai 60 grammi: i fiori spuntano, li vediamo, è tutto vero… Campo di Fossa. “Torna” adesso lo zafferano, dentro il perimetro in pietra dell’urbe antica, protettivo, delle mura di Aquila. Lo zafferano è stato “riportato” dentro il sito della città per merito di un Mago Merlino, alias Fabio Mutignani, 34 anni, visionario aquilano ma non sa quello che epicamente ha fatto ( ma poi, chi avrebbe mai osato tanto se non lui, è suo il fazzoletto di zafferano), e taumaturgo (lo zafferano rilascia il 100% delle proprietà organolettiche in alcune preparazioni, dice) e spirituale ( dal suo “laboratorio” di alchimie “parla” con lo zafferano e ai campi, ne ha altri coltivati con il Croco, in quelle sue parole che diventano cibo…).Le mura della città, ci siamo sopra con Fabio e lì ha inizio la sfioratura dello zafferano. Frontale la montagna di Roio, il sole intanto ha ingoiato la bruna e quella luce che picchia sulle pietre medievali unite dalla malta, quella luce, che hanno visto i nostri antenati – dirò più tardi a Mago Merlino – se non la conosci, è come andare dentro la Cappella Sistina, non capirne l’odore e la stessa luce, e forse nessuno mai te lo dirà. Lo zafferano sopra le mura della città: primo tempo, di questa mattina d’ottobre… (Prima parte).Nelle immagini di Campo di Fossa, anche Francesca Lepidi, che condivide con Fabio Mutignani la produzione di zafferano e il suo utilizzo.