Lungo il tracciato della legna, sull’Antica Via di Arischia: la Madonna che allatta e sorregge il mondo e il “Torrione” a L’Aquila.

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Gli aquilani dicevano ironicamente “Paglia, paglia…”, per indicare il paese di Arischia: i mulattieri portavano così la paglia o le foglie di granturco per due categorie sociali della città che si cucivano i materassi, i “sacconi” di cotone tessuti al telaio in legno. Partivano dal bosco del Chiarino, poi Arischia per portare la legna, venderla, un quintale circa, così si diceva ai compratori. Ma poiché non si pesava all’arrivo, il fascio di legna all’interno era quasi vuoto. “Un trucco”, un guadagno migliore per il venditore, in quelle condizioni storiche e sociali successive al secondo conflitto mondiale e oltre. “Non ci stava che spaccare la pagnotta per la fame” dicono, per quei dieci, dodici chilometri a piedi con gli animali sul tracciato dell’antica Via di Arischia. Costeggia le pendici della montagna di Pettino, prima mulattiera e poi carrareccia in un paesaggio agrario, inimmaginabile oggi, ma un tempo costituito da strutture rarefatte edificate di proprietari terrieri, casini di campagna, manufatti di case basse per i coloni e, soprattutto, coltivazioni in grano e vigneti declinanti sulla Conca aquilana. Questo il campo visivo che avremmo visto attraversato da un tracciato storico ed economico. Veniva percorso dalle carovane di uomini e animali, in tutte le stagioni, per assicurare alla città approvvigionamento sostenibile, un continuo rifornimento di legna. La manutenzione della “città d’inverno” aveva bisogno di questo cordone ombelicale per la quotidianità prima che venisse ricoperta di neve. “Anche con le nevicate si andava a L’Aquila, con gli animali, trenta centimetri di neve e oltre, per la fame – raccontano -. Legna e paglia si barattavano ad Onna e Bazzano con i fagioli”. Lungo il tracciato “Il Torrione” terminal della Via, prima periferia della cinta della città, totem di riferimento spaziale per entrare nella rampa di Porta Castello, con gli animali carichi di legna, fino a “Piazzetta delle tavole” (Piazza Machilone).  C’era una donna che lì viveva in povertà in un fondaco, e quando non si vendeva la legna, per non riportarla ad Arischia, qualcuno lasciava la soma per custodirla alla donna, ma i mulattieri sapevano con l’inverno che non dava scampo e la povertà diffusa, potevano, quella soma di legna, non ritrovarla… E ancora dall’Antica Via di Arischia, viceversa, risalivano i lupari in direzione del paese che i mulattieri incrociavano. Caricati sui muli i lupi uccisi, o addirittura sulle spalle per mostrarli meglio, entravano in paese, venivano ospitati, le persone offrivano uova, salsicce, formaggi. Con una cesta di “vinci” i lupari raccoglievano le offerte, si formava un corteo intorno alle carcasse dei lupi che penzolavano dal basto degli animali: esibivano questo “incontro ravvicinato” improponibile in altre circostanze, con un effetto apotropaico, mediatico: il “nemico”, vicino, da toccare per allontanarlo e disprezzarlo (oltre le sue qualità magiche narrative e l’influsso di spirito maligno. Confezionavano i “Brevi” con i peli del lupo, contro il malocchio), non più il grande male dell’Appennino, ma reso immune, abbattute le sue influenze nefaste, tutto questo davanti agli occhi soddisfatti e increduli della comunità locale. Arischia. Piana di “Capaglio”, Il “Ginocchio di Capo la Piaia”, e “Capo la Piaia” ( dal latino plagia, fianco di monte) con la chiesa d’impianto cinquecentesco ( che ha subito rilevanti modificazioni ) denominata Madonna della Piaia ubicata al valico, al labbro del dosso e sito di riferimento e sosta della Antica Via di Arischia che declina sulla piana di “Rummole”, poi  scende nella valle della “Pioneca”, ( toponimo del fiore peonia, ricca di fiori rossi e rosa) e infine la Conca aquilana a sud- est. La Madonna della Piaia: lì i mulattieri lasciavano “una lira” dentro una finestra ogivale, a fianco della chiesa, per l’offerta all’eremita. All’interno, la struttura religiosa rettangolare si presenta ormai spoglia, saccheggiata e ridotta oggi in un simulacro, un’apparenza, una sorta di sotto-giacenza per l’abbandono prima e l’incuria che ne è seguita nei decenni, condizioni queste ottimali per la depredazione dei beni culturali, tanto più se si tratta di siti storici defilati nel paesaggio della Conca aquilana. E pertanto ne consegue il trafugamento di un importante affresco (datato 1535, Rinascimento maturo, non se ne conosce l’autore) da una nicchia della stessa chiesa: forse il dipinto che dava il nome all’edificio della Madonna della Piaia. Il penoso abuso, la rapina della pittura, si è avvalso della più brutale operazione di scempio, non da manuale eseguito in maniera consona, non certo ricorrendo alle tecniche di “distacco” dell’affresco con il suo intonaco che accoglie il colore e lo preserva per secoli. Chi ha compiuto l’atto vandalico, spregiudicato, ha maldestramente asportato solo il colore. Proviamo a pensare ad una pellicola tolta dalla superfice muraria, e non quindi l’intonaco come da protocollo, lasciando infine sulla parete della nicchia d’altare tracce preziose, residui e avanzi di colore importanti, lo “spolvero” (una tecnica) con il bolo rosso, ancora tracce dei contorni, velature, l’elegante tracciato inciso e il disegno preparatorio della rappresentazione: un disastro. E come se si fosse riavvolto il nastro, il film che dà inizio all’opera preparatoria dell’affresco, tornata nel 1535, prima della stesura del colore da parte del pittore. Tanto più, è stata umiliata una rappresentazione religiosa, poiché quello che a noi interessa è la Madonna Lactans in trono del dipinto, venerazione popolare per eccellenza, piramidale nella sua geometrica sontuosa veste di broccato, una rarità in due atti: allatta il Bambino con un seno pronunciato, fortemente esposto e contestualmente sorregge la sfera, la perfezione, il mondo con tutti i significati subliminali del suo dominio. Ai due lati gli aspetti coreografici di supporto ed equilibrio nelle figurazioni di San Michele Arcangelo e San Benedetto (con i volti perplessi, pensierosi, distanti e non partecipativi con i loro simboli iconici ), e i due angeli svettanti che viceversa plasticamente e dinamicamente fluttuano e sono pronti ad incoronare una Madonna con un inedito: lei è incorniciata da un drappo prezioso per isolarne la serenità e la meditazione con il  Bambino, tenerla così lontano dal mondo delle “cose effimere” in quel duplice atto concatenato che s’intravvede anche negli sguardi rilassati, delicati e negli occhi della Madonna e dello stesso Bambino. Così ha voluto con molta attenzione l’autore. Affresco leggero nel cromatismo chiaroscurale, dai tratti nel segno sapiente e di mestiere, e infine quell’accenno di movimento dei corpi nei personaggi, come si diceva, ai due lati della Maternità, per dare una sorta di dinamica gestuale all’intera composizione. Questa, appunto, sembra dirci l’opera d’arte, la Maternità è da trasmettere nella sua narrazione alle genti di Arischia, anche in questo luogo fisico, defilato, lontano dai centri urbani. La Madonna con un seno scoperto deve essere madre, nello scenario che si apre, proclamato, scende dalla spiritualità che le è propria, serena e dialogante, per chi la osserva è una donna come tante altre. Oggi, grazie alla riproduzione fotografica su un pannello riposizionato nella sua nicchia di appartenenza, che realizzò prima della sua predazione dalla chiesa della Madonna della Piaia Abramo Colageo, storico locale di Arischia in collaborazione con Arca e Pro loco, è possibile descrivere l’affresco andato perduto per sempre, capirne l’importanza, in un contesto geografico di migrazioni e relazioni. Infine, le opere d’arte, spesso, commissionate da un basista e sottratte in condizioni limite, nel traffico illecito e clandestino da organizzazioni criminali definite a livello elevato archeomafie: compiono indagini minuziose e capillari nella loro rapace aggressione e sottrazione di opere d’arte pubbliche lasciate spesso al degrado, come abbiamo visto, togliendo a tutti noi la scoperta della grande bellezza in luoghi inimmaginabili, ma che esistono…

Nelle immagini, la chiesa della Madonna della Piaia e il gruppo alpini di Arischia che bonifica l’intera area per renderla fruibile al pubblico. Un particolare ringraziamento ad Abramo Colageo.