L’uomo tartufo.

Testo di Arianna Battista.

Mi sono chiesta in questi giorni come mettere una persona come te dentro qualche riga di questo stupido computer, avendo paura di non farti essere all’altezza delle parole che sto per buttare giù. Sono costretta a rilassarmi e lasciarmi andare ai ricordi che uno dopo l’altro si accavallano e mi riempiono gli occhi di lacrime, non riesco a contenerli, sono troppi e troppo veloci. Ci sono poche parole di mezzo, ma tante pretese non dette, che a ripensarci oggi vorrei tanto risentirle e dirti che ti farebbe piacere cosa sto facendo.

Partiamo per ordine, iniziamo dai colori. Tu eri bianco, e pettinato, ma aldilà dei tuoi capelli sei sempre stato bianco, e forse, guardando te, così autoritario, posato e pieno di morale, io ero il nero, un piccolo pallino nero che, comunque, faceva parte della tua vita. A te piaceva tanto il tartufo, che era nero come me, e quando lo mangiavi, si mischiava con il tuo bianco, nel tuo viso c’era e c’è sempre stato da quando ci siamo conosciuti… Quanto ti piaceva farti crescere i baffi e anche la barba, dopo il terremoto, per protesta nei confronti di tutto quello che ci stava succedendo.

La tua figura mi intimoriva molto, forse nella mia vita sei stato l’unico a farmi avere davvero paura, quando alzavi la voce mi bloccavo e il cuore mi batteva forte.

Questo però succedeva raramente, solo quando perdevamo il controllo, tra una bambinata e l’altra. Ho cercato negli anni di esserti sempre vicina, ma anche di tenermi un po’ distante per paura di mostrarti davvero chi ero, forse avrei potuto spaventarti o deluderti. Due mondi diversi di due epoche che non riescono nemmeno a sfiorarsi, queste tecnologie ci stanno devastando, e forse il tuo scappare via me l’ha reso ancora più chiaro, questo mondo si sta facendo troppo superficiale per un’anima di razza come la tua. Ma chi siamo noi, in confronto a voi. Chi siamo noi in confronto alle vostre arti, alle vostre sofferenze e bellezze, alla vostra guerra, alle vostre grida lancinanti che chiedono giustizia. Chi siamo noi in confronto alla vostra musica. Menomale che lo so, almeno posso interfacciarmi un poco.

Io, comunque, uomo tartufo, ho sempre immaginato quando sarebbe arrivato questo giorno, ma nonostante lo chiedessi con tutte le mie forze, nelle ultime volte che guardavo quel corpo ormai con tanta anima ma poca forza, mi rendo conto che tra il desiderare e l’interfacciarsi con la realtà c’è la consapevolezza del saluto, quello che ogni volta che ti do suona come una campana e mi fa piangere tanto, ma tanto tanto tanto. Tu, uomo tartufo, hai cambiato la mia vita, mi hai educato all’educazione, mi hai insegnato a rispettare. Mi hai insegnato a tenere la schiena dritta e a far baciare il mento dal sole. Un bagaglio di certezze come il tuo non si lascia andare, lo si vive tutti i giorni finché non si è pronti per insegnarlo nuovamente a qualche punto nero bisognoso come me. Come sarai riuscito a farmi sentire così amata nonostante non ci fossero momenti sentimentali tra di noi io non lo so, forse me lo spiegherai un giorno, ma sappi che io esplodo d’amore per te e che, oggi senza te, mi sento così povera.

A volte mi chiedo perché non abbiamo mai parlato di come sarebbero state le cose nella nuova era, quella senza di te. Sarei curiosa di chiederti: come ti immagini sarà? Nonna se non cucina per te sei consapevole che non mangerà? Tu alzerai le spalle, ne sono sicura, e non risponderai lasciando a me la responsabilità di immaginare chi sei. Ma è per questo che sei unico, come un pavone che quando esce fuori casa apre la coda per difendere ma che, anche senza tutti quei colori aperti, rimane un essere sbalorditivo. Io, ora, per rimanere in tema bianco, però, ripenso a quando aprivi la porta scorrevole della mia classe d’asilo, bianca ovviamente, e ti piazzavi lì al centro aprendo le braccia e aspettando che ti saltassi in groppa. Tutti ci guardavano, tutti ti aspettavano. Quanta felicità e quante attenzioni mi hai dato, chissà, sarà anche grazie a te che ora sono così pretenziosa nei confronti delle persone delle quali mi voglio circondare? Se è grazie a te oltre a ringraziarti però devo anche rimproverarti: a volte bisogna essere un po’ più leggeri sai?

Ghignare un po’ di più. Ricordo che feci caso a come erano fatti i tuoi denti quando ero già un’adolescente.

Comunque, ci tenevo a dirti che il mio nero è già diventato grigio e che, nell’arco di poco tempo, si schiarirà ancora di più e questo versare candeggina non smetterà fino a quando non ci riuniremo.

Grazie perché non scrivo da due anni e sappi che pretendo di rincontrarti e dirti che non ho più paura, ma solo voglia di sedermi sulle tue gambe come una, ormai, vecchia bambina e raccontarti tutte le novità che un giorno avresti voluto sentire. Non è uno scherzo, ma sana verità.

Stavolta te lo stringo io il pugno.

Ti voglio bene uomo tartufo