Madonna Centurelli, gli altopiani aquilani e quella meraviglia inaspettata…

Testo di Vincenzo Battista.

Giro tra le mani alcune fotografie d’epoca realizzate a Caporciano. Nelle immagini che scorrono, non sapremo mai se il rito penitenziale, perché di questo si tratta, sia proprio toccato a loro, sì proprio a loro : le statue dei santi ( Gesù Risorto, La Madonna con il Bambino, San Giovanni da Capestrano, San Emidio, San Antonio da Padova, San Antonio Abate, San Pietro, San Rocco, San Benedetto, la Madonna con gli angioletti, la Madonna Addolorata) in gesso, smaltate e laccate, lignee, trasportate sui mezzi agricoli e poi nei sobbalzi dentro i cassoni dei trattori, nelle curve a gomito che paurosamente le facevano inclinare. Nello sterrato dei fossi, invece, si muovevano, rimbalzavano nei pianali metallici, quasi si animavano, quasi benedicevano con le braccia tese l’agro un  tempo possesso di Iacobuccio da Forfona, e perché no anche il celebrato tratturo, una volta scesi a valle dal borgo, nel corteo liturgico che richiamava un certo tipo di messa o rito new age della Chiesa americana ( siamo proprio intorno alla metà degli anni ’80) ma, da queste parti,  è invece una riproposizione culturale profetica dell’antico rito delle rogazioni ( dal latino “rogare”, chiedere, pregare, stipulare un contratto sacro), delle quattro tempore e punti cardinali che segnano la croce nei viottoli e nei crocicchi di campagna nel culto dell’Ascensione, solenne, barocco, sontuoso con tutto il clero officiante. “Governo delle terre io ti lascio, hai fatto più in nove giorni che in nove mesi in terra morta”, così dicevano i contadini. Per nove mesi la campagna era morta, poi, il giorno dell’Ascensione, riceveva la benedizione e dopo nove giorni iniziava a fiorire quasi d’incanto. Le chicane che percorrono i trattori, dal nucleo urbano di Caporciano, avvolgono il colle e scendono nella pianura: direzione la chiesa tratturale della Madonna Centurelli. Certo è che le statue hanno retto infine, in “trasferta”, in quella sorta di giubileo itinerante benedicente calato nel pantheon delle sculture in un unicum, riunite e fatte uscire della chiesa di San Benedetto Abate del centro, pronte a benedire tutto e tutti nella loro visione apocalittica, soprannaturale ma viceversa in chiave pedagogica – paesaggistica (dispositivo associato all’educazione), mentre qualche anziano in età avanzata pensava già a un miracolo in corso. Pronte le sculture a stupire chi incontravano, inginocchiati i fedeli  lungo la strada e lasciati a bocca aperta per l’evento, per meravigliare, infine, l’equipaggio delle macchine incolonnate, ferme, sul nastro della 17 bis mentre il corteo del pentimento e della confessione cristiana attraversava l’asfalto dell’altopiano di Navelli e, in lontananza Centurelli, che ne ha viste, certo che ne ha viste. Qualcuno pensava. Forse basito. Davanti a una riedizione, sembra, di quello stupore spettacolare dannunziano, quando proprio il Vate annotava e descriveva, con F. P. Michetti: si recavano insieme nelle processioni di fine Ottocento; forse, attualizzandolo, quello spettacolo, quella coreografia, oggi, guardando le immagini in bianco e nero, rilasciano un sapore da film felliniano ma che cela, nell’Ascensione appunto, il punto di forza nella benedizione dei terreni in lotta perenne con le avversità atmosferiche: questa sì una causa effetto della cultura autoctona nelle valli aquilane dei beni culturali immateriali “disegnati sulla terra”, rilevante e purtroppo dispersa questa sapienza delle genti, che sapevano ascoltare la natura e fronteggiarla, calendarizzarla ma, che qualche volta, invia i suoi flebili segnali, i suoi bit…

Le immagini d’epoca del corteo e la messa davanti la chiesa della Madonna Centurelli.