Testo e fotografia Vincenzo Battista.

“Mamma li turchi”, può sembrare una espressione ironica, un’esclamazione di irrisione, scherno, una battuta verso una persona o un gruppo ma, tuttavia, ha una sua radice storica. E per rintracciarla, bisogna andare alla cattedrale di Otranto e guardare l’inguardabile, vietato ai minori… e lo vedremo. È l’anno 1480, i turchi assediano la città, causano 800 morti, ma sarà una esecuzione. I cristiani non volevano convertirsi all’Islam, perciò decapitati e i teschi sono oggi esposti in cinque teche, nella stessa cattedrale, con i fori e i tagli causati dalle sciabole a mezza luna dei turchi. Più che un monito per i martiri sacrificati, uno schermo “acceso”, che continua a” guardarci”, oggi, con le stragi di donne e bambini incolpevoli, vittime innocenti, avvolti nei sudari bianchi nel Medio Oriente di Gaza, nella pulizia etnica a cui si aggiunge l’intento di affamare la popolazione inerme, un vero e proprio crimine contro l’umanità nelle immagini che ci passano davanti, e ci interrogano, appunto, come uno schermo sempre acceso: non ha fine. I pirati turchi, ma molti secoli prima, nelle incursioni razziavano la costa dell’Adriatico infestata dai barbareschi, rapivano le comunità locali, giovani, donne, intere comunità trascinate nelle loro navi, fatte schiave e vendute nei mercati delle coste del Nord Africa o in Oriente. “Mamma li turchi”, il terrore quindi, ricorda sventure, vicende drammatiche, e nulla potevano le torri aragonesi costiere di avvistamento lungo il litorale. I Turchi saccheggiavano, quindi, stupravano, uccidevano, attaccavano e si ritraevano nel mare, seminando morte e distruzione, e poi la tratta degli schiavi, lucrosa, dell’impero ottomano contro la comunità cristiana, a dimostrazione del dominio. Suggestioni rievocate nel folclore a Tollo (CH), sotto la torre di guardia del borgo, si mimano i combattimenti tra cristiani e turchi (1566, la flotta di Solimano incombe sull’Adriatico), per l’assedio e battaglie, poi il corteo e la sfilata in costume con turbanti e mantelli e, su tutto, la Madonna ribattezzata dei turchi, per chi non avesse capito, a scanso di equivoci! Il viaggio continua… dal Vittoriale degli Italiani di d’Annunzio sul lago di Garda, il suo aereo è esposto in picchiata nell’auditorium e pende dal soffitto, nello stesso complesso, che è una cittadella “immaginifica” subliminale, a sigillo di un brand – immagine a somiglianza del Vate. Nel teatro del Vittoriale, quindi, così siglato il velivolo Ansaldo: S. V. A. dell’87a Squadriglia di aeroplani. È il 9 agosto 1918, nella trasvolata su Vienna, intestatario Gabriele d’Annunzio dell’evento chiamato “Folle”, partecipa e dirige il Vate, sono otto i velivoli, e a 800 metri sorvolano la cattedrale di Santo Stefano di Vienna, “sganciano” migliaia di volantini (la foto, da uno degli aerei, documenta i fogli che stanno cadendo proprio sulla cattedrale visibile in basso), stampati con la bandiera italiana e un testo. “Noi italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne”. E ancora sui biglietti:” Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori…”.Cadono i biglietti a centinaia e centinaia sulla città, e lentamente si poggiano intorno al duomo di Santo Stefano, simbolo di Vienna con i suoi 136 metri, un gotico internazionale, la costruzione è del XII secolo con successive sopraffazioni. Svolazzano, spinti dal vento i biglietti scritti da d’Annunzio, avvolgono la cattedrale, molti austriaci li raccolgono, scendono dai pinnacoli e guglie del complesso religioso del suo verticalismo, sembrano coriandoli, e dopo aver sfiorato la statua e il pulpito in pietra, sì, la scultura, il gruppo statuario che rappresenta San Giovanni da Capestrano, appoggiato in alto nell’ingresso nord occidentale della Cattedrale di Santo Stefano. Un personaggio Giovanni, anch’esso, che sembra caduto dall’alto, e poi come è potuto finire lì (provenienza anagrafica, nato il 24 giugno 1386 a Capestrano nella valle del Tirino, per lui coniato il titolo di “Salvatore della civiltà cristiana”), centrale nell’immaginario collettivo della ricca e aristocratica Vienna, poiché più che una dedicazione, più che un’effige, più che una statua, entra nella storia imperiale di Vienna e del destino di città europea, allorché Giovanni predicava lì da giurista francescano con la croce Tau, e appunto colto oratore, per arruolare genti in armi contro l’Anticristo alle porte dell’Europa, cioè nell’assedio di Belgrado nella Crociata del 1456, invitando ad accorrere in aiuto della città balcanica e scongiurare il dilagare della macchina da guerra che sembrava invincibile dei turchi ottomani del Sultano Mehmed II, appunto nell’Europa degli Stati. I volantini di d’Annunzio, che sicuramente guardava dall’aereo la cattedrale, dopo tanto vagare, si poggiano a terra davanti ai piedi e al blocco scultoreo che celebra, nella Cattedrale di Santo Stefano, San Giovanni da Capestrano, nel cuore del centro storico di Vienna. Alziamo gli occhi, ora vediamo, sopra di noi, imponente la scultura dedicata a Giovanni, di epoca settecentesca. Il giannizzero “turchense” della guardia imperiale d’élite del sultano giace ai piedi di San Giovanni da Capestrano. Muscoloso e aitante proprio per evidenziare la sua sconfitta, dal volto demoniaco e le sue insegne e gli stendardi nei lunghi bastoni deposti con a mezza luna apicale, in segno di sconfitta. Il giannizzero, iconico simbolo del male giace così con le braccia aperte, prima di esalare l’ultimo respiro. San Giovanni primeggia, e alle sue spalle, il sole raggiante in oro dorato con la croce e i suoi simboli e una corona di putti, poi il vessillo crociato del monogramma tenuto ben stretto nella mano destra con la croce rossa che testimonia la vittoriosa partecipazione alla crociata. Il corpo di Giovanni si piega all’indietro, la testa guarda in alto, una posa plastica che richiama l’estasi divina (come la conosciamo nelle sculture seicentesche e settecentesche), per dire inoltre e indicare, sì, con il braccio sinistro e la mano aperta che scende sullo sconfitto: il turco non fa più paura, gli incubi sono dissolti. Ma il tributo verso San Giovanni da Capestrano sembra non finire a Vienna, poiché alla base del gruppo statuario, è scolpito un elegante pulpito in stile rinascimentale, sul quale saliva il santo per predicare, come in una “piattaforma social” la “parola” e , della sua utilità, resa iconica, la possiamo osservare anche qui a L’Aquila, nel museo MuNDA, nella tempera su polittico attribuito al Maestro delle Storie di San Giovanni da Capestrano ( 1480-1485 ). In una delle cinque tavole, in alto a destra, San Giovanni è appunto dipinto su un pulpito, il suo brand come abbiamo visto a Vienna, cerca di persuadere il popolo aquilano con in mano il monogramma e la parola, la sua, che non ha confini…