Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Tronchi spiaggiati, bianchi levigati dalle mareggiate. Altri, di alberi secchi e scheletrici sulla falesia della baia. Sono stati utilizzati per costruire l’enigma del come è possibile…, l’insufficiente asimmetrica forma di pali infissi nelle rocce del mare non si sa dove…, tenuti insieme con tiranti improbabili…, tutto sembra inquieto, tutto sembra sfidare la fisica elementare dei corpi e la la loro tensione spazio – tempo, ma si tiene, certo, e sembra tenere con la passerella in legno che si muove dalla terraferma al trabocco – uno scherzo – e ondeggia come la giostra del luna park, e ci porta diritti sulla punta della rosa dei venti, punto di non ritorno del maestrale e tramontana che non danno tregua all’erosione della costa e schiaffeggiano: il trabocco .

Quindi, un modificarsi delle acque del mare e dei legni che invecchiano, ma per restare uniti in simbiosi, quasi una archeologia non più storicizzata, ma vivente, adesso, qui, attiva se vogliamo, pronto all’uso il trabocco, funzionale relitto dell’antichità ancora dialogante con il mare e i suoi misteri, e la narrazione secolare.

I trabocchi della povertà. I contadini – pescatori calavano la rete dalla piattaforma per il pescato del pesce azzurro e di fondale, come mormore, triglie e saraghi, ma anche calamari e altri pesci. I flussi si spostavano sulla costa, migravano e venivano catturati dalla rete quadrangolare bilanciata e tenuta dalle funi che scendeva con un argano e altri misterici ingranaggi, funi, tiranti, leve ed altro, come se ci trovassimo sul ponte di un galeone con Jack Sparror. Il rumore o meglio il “messaggio” che rilascia il trabocco è stridente sotto le mareggiate, si torce è quasi si lamenta. Si scuote, ondeggia, ma i pali sugli scogli tengono con i tiranti che serrano il trabocco in un empirico certo efficace uso e conoscenza delle dinamiche dei venti. Il pesce veniva venduto, barattato con i prodotti delle terre interne alla costa, seccato, con il sale, in una tecnica di conservazione alimentare di rimozione dell’umidità. I trabocchi, avessero mai potuto immaginare i costruttori antichi, che si ereditavano il mestiere, di queste macchine arcane di pesca, che oggi, sono diventati una Pompei di visitazione nella Costa dei Trabocchi, così si chiama l’ambito geografico, non c’è altra ragione, ma è così, il cambiamento antropologico è anche qui. Forse, qualche docente, avrà chiesto ai ragazzi nell’esame di maturità – ancora in corso tra l’altro nelle prove orali in questi giorni – di un Pier Paolo Pasolini che vede la povertà non solo come una condizione economica, ma come una dimensione culturale e spirituale, primato rispetto alla società dei consumi. Nei suoi scritti, nei film, nelle trasmissioni televisive, la povertà non ha un fine romantico, ma viene rappresentata come una realtà complessa, appunto antropologica, con le sue difficoltà e le sue ricchezze interiori. Pasolini ci insegna come la povertà possa portare a una maggiore solidarietà e a una profonda conoscenza del mondo di quella sofferenza ed emarginazione. E’ suo il concetto di “mutazione antropologica” nel cambiamento culturale e sociale che l’Italia ha subito nel secondo dopoguerra è la società dei consumi, e dei mezzi di comunicazione di massa, appunto Pasolini, ne parla in termini di omologazione culturale, la perdita delle identità e tradizioni, che continua… I trabocchi, un lembo di costa abruzzese e molisana, fragile e impreparata, e pertanto sottoposta ad una pressione antropica del turismo, inimmaginabile, che con il passare del tempo è destinata esponenzialmente a deflagrare.