Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Le opere imperdibili del Museo Nazionale Etrusco di Roma, inaugurato nel 1889. Il Sarcofago degli Sposi ( 530 – 520 a. C. – Cerveteri ), Testa di Leucotea ( 340 – 330 a. C. Pyrgi, Santa Severa), Lamine D’oro di Pyrgi ( fine VI sec. a. C. Pyrgi , Santa Severa), Apollo di Veio ( 510 – 500 a. C. Veio), La Cista Figoroni, (manufatto del IV sec. a. C. di un corredo in una necropoli), Altorilievo di Pyrgi ( 470 – 460 a. C.), gli specchi in bronzo, le antefisse poste sulle travi, per proteggere le case e i templi dal vento del maleficio. Il ghigno mostruoso della Gorgone, quindi, in terracotta, mostra tutta la sua rabbia contro il male. Residenza rinascimentale, Villa Giulia, voluta da papa Giulio III (1550 -1553), costruita con il proposito di una dimora fuori le mura di Roma, in campagna. Alla sua realizzazione contribuì Giorgio Vasari. Nel 1889 venne istituito il museo delle Antichità Preromane. Numerose le collezioni di opere d’arte cedute dalle famiglie nobili che avevano acquisito i reperti etruschi fin dal ‘600. Le collezioni Barberini, Castellani, Pesciotti.

Il sorriso arcaico dei due personaggi nel Sarcofago degli Sposi, la posizione delle mani che mantenevano ampolle per gli unguenti andati perduti, forse anche una coppa di vino, profumi per spalmarli sulle braccia. Scultura funeraria, evidente contaminazione con l’arte greca, “sospesa” alla ricerca di una vita ultraterrena che si preconizza con gli sguardi e i sorrisi dei due coniugi: vogliono tranquillizzare il tempo intorno al loro perimetro antropico, con gli occhi sottili e allungati dei Kòuros o Kòrai. lo scenario plastico della scultura in terracotta ricomposta in centinaia di frammenti è “immortale”, poiché i coniugi sono e saranno per sempre… vinceranno la morte, gli spiriti li accompagneranno, ma loro, saranno sempre visibili e presenti come noi li osserviamo. Ci guardano in una visione che trasmette quiete, viaggio ultraterreno, diaframma della cultura del “non essere”. La Cista Figoroni racconta invece un alto artigianato artistico, il dono di una donna per sua figlia. Bronzo inciso, l’iscrizione alla base del coperchio, latino antico l’iscrizione. Versi saturni, poetici di un’arte italica realizzata a Roma nella produzione dell’Urbe. Scene di caccia intorno alla Cista (in rilievo), si sorregge con tre piedi ferini. È Magulnia che dona la Cista nel racconto della leggenda degli argonauti, il vello d’oro, il Mar Nero. Realizzata con una fusione a cera persa. Ma il nume tutelare della narrazione è Dioniso. Uomini abbracciati alla sommità dell’oggetto funzionale, il giovane Dioniso centrale con il busto scoperto, la collana da lui indossata segno di maturità, del raggiungimento a chi è in dono la Cista. Gli orecchi dei satiri infine, in questa dote che segna un metalinguaggio di tanti e compositi soggetti interpretativi, ambientazione, natura, auspici in definitiva che si rincorrono, nella solitudine etrusca, per l’uomo e la sua donna.