Testo e fotografia Vincenzo Battista.
La contrada “Cartofano” a quota 800 metri, Prata d’Ansidonia, area del pianoro di Peltuinum. Partiamo da metà giornata, non dall’alba per la raccolta dello zafferano, in questo buio di bruma e vapori, in ottobre. Solo adesso si fronteggia e si vede il teatro di Peltuinum che, con la sua cavea, ma soprattutto con le gradinate semicircolari, aveva per scenario l’Altopiano di Navelli a sud – est: non era poco per gli spettatori delle commedie greche e romane che lì si presentavano. Ma non dobbiamo tornare alla sua fondazione, ai canoni urbanistici romani, nella metà del I secolo a.C.( ipotesi fondativa della città) , ma al recente passato per interrogarci se il corso della storia può seguire il suo processo naturale, oppure se basta una distrazione, girate le spalle, e il paesaggio dei Beni Culturali può essere sconvolto, disarcionato rispetto alle sue prerogative storiche: su questo campo di zafferano, dove siamo piantati dall’alba, dovevano installare un enorme impianto di pannelli solari, più di un ettaro in estensione, fino a quasi le pendici della città di Peltuinum e al suo teatro che da qui, appunto, dalla contrada “Cartofano” si scorge nel suo skyline. Dentro questa area con impianto di zafferano, che attraversiamo in una giornata di narrazioni, nei camminamenti, si raccoglie il fiore, ma in tutta questa area estensiva di pianori e gobbe furono rinvenuti reperti romani, frammenti e manufatti, poi i saggi di scavo confermarono l’alto valore insediativo: perimetri murari di domus romane, fondamenta nelle pertinenze di edifici per lo stoccaggio forse del grano. Un’area archeologica rilevante che ancora oggi dorme sotto il suolo. E fu proprio alla vigilia della colonizzazione dei pannelli solari, che il Ministero dei Beni Culturali sottopose l’area a vincolo nel codice proprio di tutela del paesaggio contro l’impianto fotovoltaico. Una “geografia salvata a chilometri zero” intendiamoci, quindi, e possiamo infatti guardarci attorno, osservando il paesaggio in cui siamo, girarci come un periplo, sui significati della conservazione culturale, fino a Peltuinum, la nostra identità cromosomica, la nostra origine genetica per usare un eufemismo. Siamo con il più importante produttore dop del “mondo conosciuto” di zafferano dell’altopiano, Sabatino D’Alfonso, con Gabriele e Anna, è questa la sua terra, con i 2500 metri quadrati (quattro coppe) di impianti coltivi della spezia – Crocus sativus L., pianta della famiglia delle Iridacee. Uno “sperimentatore”, così diceva di lui lo storico Alessandro Clementi. La cooperativa ritira ai soci produttori la spezia rossa di stimmi essiccata a 14.000 euro al chilo, per la commercializzazione, confezione e produzione nei mercati.
Lo zafferano adesso. Gli indumenti di lusso in età minoica di giallo zafferano, i prodotti medicinali per gli unguenti medicamentosi, l’ utilizzo per profumare le sale dei banchetti. Le strade romane addobbate di zafferano per accogliere gli imperatori, il bagno e le piscine con acqua di zafferano. Isocrate parla dei guanciali da letto aromatizzato di croco, mentre le donne troiane usavano spruzzarlo nei pavimenti dei loro templi. I decotti con gli stimmi di zafferano per digerire” le soverchie delle libagioni”, ai veli profumati delle spose, i sacerdoti e i” sacrificatori” s’incoronavano con i petali dei fiori nelle cerimonie religiose, fino a Croco e Smilace nelle “Metamorfosi” di Ovidio. E poi l’uso di bruciare sui tripodi d’oro la spezia rossa, o spargere sulle gradinate i fiori freschi per gli spettatori e l’ingresso dell’imperatore negli anfiteatri. Gli odori del croco nelle mense, si bruciavano nei roghi, nelle pire nell’uso crematorio. Lo zafferano si riteneva stimolo sessuale (Dioscoride, I sec.). Plinio lo consigliava nell’Idropisia, ulcere renali, dolori artritici e nella dermatosi. Infine, nella terapia oculistica, Celso e Plinio, ricordavano il diacroco, il collirio speciale, e il componente specifico era lo zafferano.
È quando sarà il momento del Metaverso, il mondo virtuale senza vere interazioni tra persone, anche da queste parti, potremmo entrare finalmente nella città turrita di Peltuinum così come era stata pensata, vederla, e capirne le dinamiche non solo urbanistiche ma anche conoscere i suoi abitanti e forse, come abbiamo visto nel mondo romano, la loro coltivazione dello zafferano. Ma adesso, quello che si auspica, dalle scuole primarie di Navelli fino alle Medie di Barisciano e per tutto l’altopiano, provare a bypassare le tossiche leggende sul frate che portò lo zafferano e le stesse “commemorazioni autunnali”, ma piuttosto ricapitolare e compendiare dalla Costituzione italiana i vincoli imprescindibili sulla cultura dell’ambiente, perché no, partendo anche dai più piccoli studenti, per formulare infine i valori del paesaggio e la ricerca dei Beni Culturali che devono essere tutelati di per sé perché non accada il contrario, ecco, proprio adesso, che si raccoglie il loro zafferano…