Palazzo Cappa a San Nicandro: dalla meridiana dei contadini alla bottiglia di champagne…

La meraviglia delle arti visive.

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

IL “fossile”, proviamo a chiamarlo così, la meridiana, su una casa rurale, fronteggia il Palazzo baronale dei Cappa, a San Nicandro – frazione di Prata d’Ansidonia ( AQ ). Ma lo gnomone – l’asse in ferro – che proietta l’ombra dell’orologio solare e i numeri a favore dei contadini e delle loro giornate nei campi è mancante, asportato un enigma, chi sa per quale ragione – reazione (considerato che più tardi si parlerà di rivoluzione), tuttavia, non ferma quella “concezione circolare del tempo”, deformato, che torna… inesorabile, con i suoi simboli inalienabili, così afferma il colonnello Aureliano Buendìa nel romanzo “ Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcìa Márquez, premio Nobel.  Il tempo, quindi, è davanti ai nostri occhi, torna, ripetuto e dilatato, non nel microcosmo di Macondo (il luogo del romanzo), ma davanti alla quinta scenica del palazzo nobile dove i contadini portavano il grano nel latifondo del barone Cappa, cresciuto e coltivato sulla spianata dell’agro di Peltuinum, e non solo, per stiparlo poi negli enormi magazzini della residenza, e lo possiamo immaginare il via vai, mentre, ora, in quel piazzale, la “Ztl e i Parioli” dell’Aquila, convenuti in trasferta, compatti, non lo sapremo mai ma forse sì, attendono per entrare e visitare la residenza nell’evento di presentazione del restauro della nobile dimora del latifondo, a sud dell’Aquila. Ciolli Giovanni, di San Nicandro, potrebbe essere un personaggio di Márquez, racconta, che “Il barone teneva le terre su quasi tutto l’altopiano, portavano lì il frumento da tutto il paese all’ammasso nel palazzo dei Cappa, poi caricavano i camion di grano. Alla raccolta tutti contadini portavano il grano, tutto era del barone, mi ricordo Don Ciccio. Con le some degli asini portavano i sacchi, lo mettevano alle stanzone del piano superiore dove c’era il ristorante e con una botola il grano scendeva sotto ai depositi. Io avevo 15 anni allora, sono del 1927”.

La meraviglia della carta da parati del palazzo baroni Cappa.

“Papier peint” così chiamata la carta da parati, un monotipo, e per altro con interventi a mano con il pennello (straordinari sotto il profilo pittorico) sulla superficie stampata per migliorare le ombre, le sfumature, le tonalità chiaroscurali della gamma dei nero fumo e grigi. I “tocchi di colore” biacca (bianco e grigio pennellato) alla maniera della corrente artistica dei Macchiaioli e Scapigliati (ma che verranno più tardi). Un allestimento francese, quindi, la carta da parati della Campagna d’Italia di Napoleone, esemplare rarissimo, introvabile nelle residenze nobiliari e, per questo siamo qui, per la sua eco: una nicchia di incommensurabile valore, dentro la ristrutturazione da poco consegnata, del Palazzo Cappa. Bisogna risalire alle macchine dell’Ottocento da stampa manuali, il torchio, i rulli e le matrici incise con pregiati motivi anche se si trattava di guerra epica, con più colori varianti sul grigio, un core business delle decorazioni murali, la moda ostentata del XIX secolo. Il culto napoleonico è veicolo di propaganda rivoluzionaria, un codice comunicativo visuale nello “spigolo” italiano del latifondo meridionale, si cristallizza nel salone Cappa. Napoleone guida i soldati sul ponte di Arcole (anno 1796) in un dipinto storico di Horace Vernet e, nella stessa carta da parati, il ponte è ancora visualizzato come simbolo terminale dello scontro mentre a spada sguainata, forse Napoleone, lo attraversa con i suoi generali.

Dalla meridiana che abbiamo visto, quindi, si focalizza una bottiglia di champagne (un particolare questo) presente nella carta da parati (anno 1827) nel salone dei ricevimenti del Palazzo Baroni Cappa.  Le milizie napoleoniche hanno lasciato sul campo vittorioso, per festeggiare, la bottiglia vuota dopo la “Battaglia di Arcole” come un logo, un look francese, fotogramma, immaginiamo, di tanti, di una lunga strisciata mediatica, poiché sono rotoli verticali e tra questi anche “La morte del maresciallo Lannes” a Esseling (1809) con Napoleone che lo accudisce. Primi piani e sfondi di papiers peints, grisaille, fogli monocromi con tiratura limitata dalla manifattura , forse, di Dufour et Leroy di Parigi, le composizioni avvolgono l’osservatore, grande realismo, mentre oggi il Palazzo Cappa si svuota del numeroso pubblico intervenuto e resta, poiché di quello ci occupiamo, la “visione” che un certo tipo di scuola possa ( con la compiacenza della famiglia Cappa ), visitare il palazzo e “osservare” il passato in chiave interdisciplinare la didattica sì, e le conoscenze: dalla storia dei grandi scenari al paesaggio aquilano, una didattica definiamola “sul campo” ma quella vera, che sappia emozionare, lì, in quello splendido salone, e perché no osservando anche quella meridiana…  

Le spoliazioni napoleoniche.

Le sistematiche spoliazioni: dipinti sculture in tutti gli Stati conquistati, dalla Spagna, al Portogallo, ai Paesi Bassi, e infine in Italia e nel resto d’Europa. Venti anni di saccheggi continui dal 1797 al 1815. “Il più grande spostamento di opere d’arte della storia ( Paul Wescher , storico dell’arte.) Delle 506 opere trafugate in Italia ben 248, oggi, sono ancora nel territorio francese,  9 infine perdute. E per coloro che sono addentro alle tematiche dell’arte e al suo “catalogo”, chiamiamolo così, non sarà poi difficile, visitando i musei francesi, riconoscerle e osservarle, ma non resta che questo…

Napoleone e i suoi generali volevano staccare gli affreschi delle Stanze di Raffaello in Vaticano, e poi il tesoro di San Marco a Venezia venne fuso. Il Bucintoro, nave ammiraglia risalente al ‘500, della flotta veneziana, venne data alle fiamme per prelevare l’oro che la guarniva. Napoleone, chiamato da Wellington “Il ladro d’Europa”, dopo il Congresso di Vienna – 1815 – cessò, per editto, la razzia (Canova in Italia si preoccupò del recupero di parte delle opere saccheggiate dai francesi).

L’apoteosi di Napoleone, l’imperatore. Toccare la nostalgia e il passato nobiliare, emotività, ma anche soggezione, questo ci dice alla carta da parati del salone Cappa, un reliquiario delle corti di un passato per borghesi e aristocratici della Restaurazione, della Grande Armée che nelle pareti del salone è dispiegata in tutta la sua potenza d’urto, mentre con una musica neoclassica, in quel salone, le donne, in abiti in stile impero, la moda del Classicismo, come Paolina Borghese ritratta da Francais Kingston ( 1808), danzavano e si compiacevano davanti a quelle pareti di conflitti aspri, morti, feriti, fuoco dei cannoni, truppe schierate, i giacigli per i feriti della battaglia, soldati che scrutano i tarocchi, tendaggi dell’accampamento, cavalli e cavalieri, munizioni, fumi e vapori dello scontro, la tenda e la carrozza di Napoleone, l’equipaggiamento dei soldati messo in evidenza, il fiume, le truppe e gli eserciti che si fronteggiano, il trasporto dei feriti, il fuoco di fila delle compagnie allineate, i paesi sullo sfondo avvolti dal vapore, le milizie saracene, il ruolo della cavalleria negli scontri.