Testo presentazione del catalogo di Duilio Chilante. La mostra antologica.

Il pallone e la farfalla.

Testo di Vincenzo Battista (Curatore della mostra).

Intra Moenia sicuramente un campo, “arginato” dalle lunghe mura medievali, bianche, incombenti, solenni, non certo la porta, Branconio, quella dai conci in pietra lavorati forse dagli scalpellini di Poggio Picenze, un varco e “frontiera”, della citta di Aquila, la grande bellezza, come non l’avremmo mai più rivista ma, un’altra porta, dell’Oratoriana, quella sì ancora nella memoria collettiva. La porta, una “sponda“, attaccata alle rocce cementificate del campo di calcio, essenziale quanto enigmatico, sdraiato nella parte della città murata a settentrione, e declinato ai sottostanti precipizi: un enigma quella terra piana attraversata dai calciatori e dal pallone su e giù. Poi quando questo si alzò, a “campanile”, si avvitò in alto, sempre di più, come un proiettile, per decidere, finalmente, di scendere liberando la sua sfida, la sua gravità, nell’incredulità degli spettatori sugli spalti che trattennero il fiato, nello stupore del silenzio spalmato sull’Oratorio salesiano, precipitò giù quel pallone con i tanti occhi che lo seguirono. Ad attenderlo, alto, magro e famelico, dentro i pantaloncini “prestati” da Costantini (atleta muscoloso, Prima Categoria degli anni ‘70 dell’Oratoriana, un divo del calcio dei “grandi”, così’ chiamato da noi della categoria Allievi dell’Oratoriana calcio), c’era Duilio Chilante. Non sapremo mai che cosa ha pensato dopo, ma di certo sappiamo che “ lisciò” quel pallone, gli rimbalzò con la sua irruenza dinamica sfacciata sotto le lunghe gambe e a quei pantaloncini, sempre più somiglianti a una tunica, e andò via quel pallone, non se ne seppe più niente… Ma com’era potuto accadere quel “liscio”, a quel mediano talentuoso, elegante e raffinato con il pallone tra i piedi e la terra come un foglio da disegno, già a quella giovane età: “Ci sono nel calcio dei momenti che sono esclusivamente poetici”, Pier Paolo Pasolini. Molto tempo prima, quel ragazzo, amato a sua insaputa non per “una”, ma per “La” pasticceria, di famiglia, in via Roma (il profumo delle paste, come certa nebbia autunnale nella Conca aquilana, rimaneva a una certa altezza nella via decumana), si alzava e svegliava il pallone a un angolo dell’ingresso di casa in via Castiglione, scendeva i gradini, senza farlo toccare a terra, palleggiava, ruotava il pallone, si avviluppavano entrambi, lo fermava come un sortilegio sul collo del piede, tutt’uno intorno a quel fisico da palo che lo stregava, il pallone, protettivo come un amuleto apotropaico, mitologico, scaramantico e infine, come in una fiaba, quel ragazzo raggiungeva la foresta dei “triangoli” dei Salesiani, così chiamati, una sorta di superficie creativa, o forse un esproprio del campo di Basket (dalla tribuna regia, l’Imperatore sor Erminio, perplesso, guardava i giochi del suo anfiteatro), reiventato e resettato, dell’Oratorio salesiano: era arrivato Duilio, lo aspettavamo, in quello spazio – cemento mitologico, per noi, ma per lui, per Duilio, la sua tavolozza dei colori. Ma non lo saprà mai… Si iniziava a giocare in pochi ( il “calcetto” chiamato così, sarebbe venuto venti anni dopo), il pallone stretto tra le gambe, quasi incollato, poi rilasciato, negli scambi, stretti, nelle geometrie vorticose e nelle invenzioni irripetibili, attraversava il paesaggio romantico alla Corot dalle molte sfumature subliminali, memoria del Grand Tour, ma prima le fredde atmosfere dei Fiamminghi cinquecenteschi, il pallone ruotava intorno ai ritratti, forse uno di sapore Caravaggesco e, con pennellate sottili, metodiche, di mestiere, di un tempo immemorabile dedicatogli, riempiva la tela… quel pallone. Poi riprendeva a giocare, quel pallone, elegante, in una visione surrealista, per scambiare stretti passaggi con i simbolisti Inglesi, passando per i Preraffaelliti tesi alla ricerca dei nuovi codici esoterici provenienti dal mondo antico dei miti, e infine “guadare” le triangolazioni strette della pittura Metafisica, con la palla a mezz’aria, che non tocca terra, quella che porta a rete dove i difensori, avversari, non hanno capito niente, ed è inutile spiegarglielo.  Sì, in rete: le balze del Gran Sasso, trasfigurate, il territorio quasi acquerellato, come certi vedutisti Ottocenteschi italiani, per poi accelerare, la palla a terra, secchi passaggi, tunnel e colpi di tacco impetuosi, la pittura trova nuovi linguaggi, si spinge intorno alle forme astratte, materiche nel paesaggio rivisitato di Santo Stefano di Sessanio, elegante e in quelle sfumature autunnali, solo quelle, se sai guardare la montagna, lo riconosci, sulla tela. Sì, quel ragazzo, Duilio, palleggiava, apriva l’azione da mediano, con la testa alta che non guarda la palla, un censo, una nobiltà, forse così la sua pittura, lui e quella sua pittura, “rivelata” dentro uno spazio – tempo intimo ed enorme (1972 – 2017), tenuto segreto, ma osservata solo a casa sua da qualcuno della squadra. Fine primo tempo. Si riprende. Il rettangolo di calcio dei “triangoli”, un fazzoletto di carta, la palla è in gioco, il mediano impagina le foto, crea i testi, le giustezze, gli spazi sono “leggeri”, equilibrati, eleganti: tutto nella campitura grafica risponde, la palla va oltre, si gira pagina, e poi ancora pagine, e pagine con l’equilibrio delle forme, degli ingombri, il mediano muove il mouse sul computer, le schermate si susseguono, fino alla copertina. E’ il calcio d’angolo: la palla guizza nell’area, colpi di testa, rimbalzi, la fase di gioco è al suo epilogo, la copertina con la grande foto prende forma con i testi sfondati, allineati in alto, la loro posizione, il nome dell’autore in relazione con il campo visivo, sulla linea di porta, adesso, ma è solo un attimo, la palla è spinta dentro, di nuovo in rete. Duilio, il mediano, ha premuto “Invio”: il libro virtuale è in viaggio nel Web per la tipografia, e tra pochi giorni gli sarà consegnato, il libro, sì “l’oggetto sacro”, perché lo possa annusare prima, come un rito di purificazione, in quell’odore tipografico che spetta solo a certi grafici, per poi ruotarlo nelle mani, aprirlo e immergersi dentro e capire come tutto questo sia potuto accadere: un miracolo laico che si rinnova, un po’ come quelle farfalle azzurre, che si muovono intorno alla cima di Corno Grande, così tanto indecifrabili, inconsuete, misteriose e leggere che mi piace immaginare, si poseranno sulle gambe e sulle braccia di Duilio, altra “Farfalla sul Gran Sasso”, titolo della mostra che ho scelto come curatore, quasi si riconoscessero. Certo, lo porterò lì.

Vincenzo Battista

Docente di Storia dell’arte del liceo, scrittore e giornalista.

 

 

 

L’Aquila – mostra antologica Duilio Chilante