Vincenzo Battista racconta in anteprima ai lettori del Capoluogo.it i segreti del suo ultimo libro.

 Testo di Vincenzo Battista

Un uomo con una roncola infissa all’estremità di un bastone indica un campo coltivato e le sue variegate, policrome, coltivazioni: geometrie riconducibili ad un disegno mentale, prima, e di uso poi, nel lavoro degli impianti di orti che danno forma a questo lembo del paesaggio agrario. Una donna sale la montagna con piedi nudi piagati e sanguinanti: lo sforzo, il significato della “prova”, il desiderio di sciogliere un voto al santuario posto tra le rocce; i lupi hanno attaccato, la mandria ha cercato di difendersi disponendosi in cerchio, ma un vitello è stato aggredito e le sue carni strappate. Si salverà, mentre, in un ambito montano contiguo, un orso irrompe in uno stazzo, punta la sua preda, si alza sulle zampe posteriori, si dondola, scava il terreno per fare razzia. Lascerà più tardi l’accampamento, il pastore traumatizzato riparato dentro la capanna e le unghiate impresse sulla porta in legno; il pane le è caduto, è rotolato, e la donna turbata lo riprende, lo segna con un gesto a forma di croce e poi lo bacia. E’ voluta salire per l’ultima volta, dopo ore di marcia, alla neviera, una lingua di neve incassata sotto una torre dolomitica a 2000 metri, dalla quale estraeva i blocchi di ghiaccio con le asce per venderli giù nella valle.

Accade questo, adesso, in luoghi che riteniamo marginali, ma non troppo distanti da noi: patrimoni, isoipse non di una carta geografica, ma tracciati di uno spazio a cui gruppi sociali hanno dato importanza. Si uniscono sotto una sorta di lente d’ingrandimento e sono riconducibili ad un mondo di storie personali disposte nella lunga fascia appenninica della provincia aquilana, che il volume “Il pane nell’arca” (la madia in legno, oggetto antico dal valore evocativo), simbolicamente, racchiude quasi fosse un sigillo, uncontenitore di complesse relazioni osservate e documentate in questi anni di ricerca sul campo.

I patrimoni, i beni culturali materiali ed immateriali, calati nella complessità ambientale ne determinano una molteplicità di concatenazioni, che attraversano il territorio come bene d’uso, solcato dai gesti, da azioni e linguaggi nella straordinaria esperienza accumulata dalla comunità locale, prezioso scrigno di diversità relazionali e ambientali. Certo il libro ricostruisce, anche guardando il passato, le forme di partecipazione e di produzione della cultura locale (le calcare per la produzione della calce, le carbonaie per trasformare la legna in carbone vegetale, la mietitura e trebbiatura nelle forme manuali) oggi del tutto alienate. Tuttavia fanno emergere un elemento che ne contraddistingue il gruppo, cioè il desiderio di una società locale di non spezzare il legame con i patrimoni legati questa volta alla loro storia non più proponibile, ma offrendo ad essa un valore, in chiave rievocativa, a cui spesso si aggiunge l’unicità dei prodotti agricoli locali e le preparazioni alimentari.

Nella parte conclusiva del volume, infine, queste forme diffuse della cultura del cibo trovano in Niko Romito, chef tre stelle Michelin, l’interprete di una sperimentazione continua della gastronomia italiana, che guarda le eccellenze del territorio della provincia dell’Aquila e la sua antica civiltà del pane e dell’arca.

In questo quadro di elementi pulsanti, si afferma il ruolo e la propensione della Banca Popolare dell’Emilia Romagna e della Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia dell’Aquila che, nell’importante investimento editoriale con la tiratura editoriale di 3000 copie, attestano la fiducia riposta negli esiti che il volume in bilingue incontrerà nella divulgazione e nel gradimento oltre la provincia dell’Aquila, “laboratorio” di segni distintivi ed eccellenze comuni anche ad altre realtà italiane.