Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

Anno 1925, Gregorio Battistella partì con l’asino da Villa Santa Lucia, borgo d’altura della valle del Tirino, per la contrada “ Vallescura”, come consuetudine, allora, anche a sedici anni. Arrivo lì dopo poco la mezzanotte, e da poco era “passata” la festa del paese. “ Giunsi lassù – raccontava – due ore prima di farsi giorno, e quella notte ci stava la luna in cielo come una coscìna”, ( recipiente e manufatto in legno per lavori agricoli). Mentre tolse gli utensili dal basto dell’asino, questo cominciò a scalciare. Gregorio si rivoltò, come richiamato da una presenza, e vide infatti dodici lupi ( dopo avrebbe avuto il tempo di contarli…) su uno stretto sentiero: gli venivano incontro. Appena in tempo di poggiare la “cavezza” sopra l’asino, che questo scappò, mentre la prima cosa naturale che fece il ragazzo fu quella di selezionare un albero, un faggio, salirci sopra, rapidamente, tanto, che in un attimo le zampe anteriori dei lupi si erano già poggiate sul tronco, con le fauci spalancate. Lui le guardava… Sembra una fiaba. “ Aspettai molto tempo – continua il suo racconto – ma non se ne andavano, giravano nervosi sotto l’albero, alcuni si erano seduti e aspettavano…” Si fece giorno, e i lupi, infine, sparirono. Lo zio, che si trovava non lontano da quel luogo, in un accampamento per la preparazione del carbone vegetale ( le carbonaie), vedendo tornare l’asino, accorse subito, e trovò Gregorio ancora sulla cime della pianta di faggio di “Vallescura”, premonitrice,  chiamata  anche ”valle dei lupi”, famosa per le loro tane, mi dice Diamante De luca, una sorta di sacerdote del tempio della montagna e della memoria collettiva di Villa Santa Lucia, mentre il tavolo della sua casa ormai è sempre più coperto dai preziosi quaderni di disegni che spiegano dettagliatamente il paesaggio di un “racconto altro” e, in una calligrafia antica, miti e storie, quotidiane, certo, ma di un microcosmo, sempre più difficili da separare da una natura che noi pensiamo di conoscere. Per andare a Villa Santa Lucia ( 868 m. s.l. m.), alla riserva naturale del Voltigno e Valle d’Angri ( 1364 m.s.l.m.), istituita nel 1989, bisogna valicare il monte Cappucciata di 1800 metri che sovrasta il paese e le sue storie mitiche, percorrendo una carrareccia che sale fino a Capo di Serra(l’imbocco è lungo la strada provinciale 17 bis per Castel del Monte). L’enorme barriera della montagna quindi, l’ultima a sud- est della catena del Gran Sasso, separa la provincia dell’Aquila con quella di Pescara, per poi declinare nella valle del Tirino. Dalla cima, la riserva appare come una conchiglia, una conca montana di origine carsica: paesaggio unico per le praterie e soprattutto per i laghetti; e poi le doline, inghiottitoi, e una diffusa pratica dell’allevamento. L’area coniuga alti valori naturalistici con la cura del bestiame al pascolo; habitat naturale del lupo e corridoio faunistico della lontra e del cinghiale, il Voltigno è coronato da boschi di faggio, come fossero stretti in un pugno, e dai rilievi di monte Cappucciata, Meta, Colle delle Biffe e Arcore in un effetto scenico paesaggistico di grande interesse in questa nicchia del Gran Sasso meridionale. “ L’inverno precedente sono stati attaccati due giovani puledri, ma sono riusciti a fuggire – scriveva la viaggiatrice Eslella Canziani, anno 1928, nel suo volume “ Attraverso gli Appennini” – Fu possibile seguire le loro tracce e quelle dei lupi. I puledri avevano galoppato dall’altopiano al villaggio, con un lupo che li tallonava e la mattina uno dei puledri fu trovato con una ferita al collo e l’altro con un orecchio e un occhio strappati”.

 

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Gran Sasso d’ Italia, aeree

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