I quadri che raccontano i miracoli. L’eremo di San Venanzio nella valle dell’Aterno.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

“Io ho fatto un voto – ci dice Nicola Perrotti, classe 1919 – e vengo tutti gli anni all’eremo di S. Venanzio. Stavo in guerra, in Siberia, combattevo contro i ribelli Serbi. Mi hanno ferito ad una gamba, ho invocato San Venanzio e mi sono salvato. Ho invocato il Santo perché le compagnie di Villa Celiera venivano sempre in questo posto. Sono stato ferito il 27 agosto 1942. Ogni anno vengo qui: prima andavo a prendere la bandiera di San Venanzio, sopra l’eremo. Era pericoloso arrivare lì per il sentiero; bisognava essere coraggiosi. Una persona di Montebello di Bertona, circa otto anni fa, è caduta dalla roccia ed e finita nel fiume Aterno, cadendo nel burrone. Perché si è salvata pochi lo sanno, è stato un miracolo di San Venanzio”. Molte ore prima di incontrare Nicola sulla “Scala Santa” dell’eremo, abbiamo preso “l’ascensore”: circa 100 metri di sentiero, quasi in verticale, dentro la forra della Riserva naturale delle Gole di San Venanzio, che si estende su una superficie di circa 1107 ettari nel comune di Raiano, tra due coni di monti. E quando la “porta” si apre, il fiume Aterno mostra tutta la sua primordiale forza : s’incassa con rapide violente, cascate d’acqua, bacini profondi tra pareti di roccia dai molti cromatismi, lisce, levigate dalle piene, alte, quasi a toccarsi, inaccessibili, avvolte dalle vegetazione fluviale che per secoli ha conservato il suo aspetto immutato: luogo mito della natura selvaggia e del “viaggio”, alla scoperta di una dimensione diversa dello spazio e del tempo, esperienza fondamentale, spesso, nella vita degli uomini, come ci avrebbe raccontato Nicola, partendo appunto dalle sue personali esperienze. Il “viaggio” continua. La pista che ci apriamo, dentro l’alveo del fiume in un regno primitivo, diventa sempre più difficile per la conformazione del paesaggio fluviale, i salti di roccia e gli sbarramenti dei tronchi portati dalle piene che spingono e ostruiscono l’accesso alle strette gole che con molta cautela superiamo. Sopra di noi, la quota orografica di Monte Mentino, che appartiene al gruppo di Mandra Murata, con 1164 metri a strapiombo, massima elevazione dell’intero ambito protetto della riserva. E poi i numerosi toponimi della Gola di San Venanzio, legati a permanenze storiche e leggendarie: rava, costa, pietra, calecara, pozzo, sterpi, nei due alti versanti della Gola, nascosti per lunghi tratti dalla foresta, lussureggiante, che si fa sempre più avvolgente fino a nascondere i raggi del sole. Dopo molte ore usciamo e ” Più in là – scrive Benedetto Croce – incassato tra due montagne (il Monte Urano e il monte Mentino) come in una spaccatura il romitorio. Pende sopra una roccia rotonda, giallastra, che pare un gran blocco di oro. Per tutta la strada fino al romitorio, da Raiano al S. Venanzio, rumorio di acque, ruscelletti che scendono dall’Aterno, sotto il romitorio l’Aterno. Il romitorio è come un ponte sospeso su di esso” e, dentro, quasi fosse il suo cuore pulsante, “La Scala Santa” e il letto di pietra dove i pellegrini si stendono e invocano la guarigione: l’aspetto più rilevante di questo itinerario alla ricerca dei miti del paesaggio.

 

I quadri degli ex voto raccontano i miracoli e gli accadimenti prodigiosi nel santuario di San Venazio. Riti litoterapici: coricarsi nel letto di pietra della “Scala Santa” dell’eremo

di S. Venanzio.