Le terre della devozione popolare al santo eremita. I luoghi impervi del Morrone dove visse l’uomo solitario della montagna.  TERZA PUNTATA

 

In sei puntate, dal 23 agosto fino al 28, Vincenzo Battista percorrerà e ci farà conoscere – in un diario sul campo, tra ambiente, fonti storiche e un reportage in bianco e nero – i luoghi impervi del Morrone dove visse Pietro dal Morrone, fino alla Valle dell’Aterno che attraversò con il corteo pontificio e infine Santa Maria di Collemaggio nella quale fu incoronato Papa con il nome di Celestino V. Un viaggio alla ricerca dei tratti distintivi di una religiosità popolare che con l’ambiente naturale ha creato il mito dell’uomo solitario della montagna eletto al Soglio Pontificio.

Quel che accade intorno alla grotta di Celestino V.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

“Non si conosce molto di lui, il fatto è che Celestino è una rivelazione dentro la Chiesa perché dà fastidio a tanti politici e religiosi che si incontrano; un uomo così umile, penitente, insieme a San Francesco, dà un po’ fastidio alle gerarchie” ci dice la donna, mentre dentro la frazione di Casale Badia continua ad ammassare la pasta, guarda il calendario appeso in cucina dell’eremita Pietro e le sue gesta miracolose, e di tanto in tanto getta un’occhiata all’eremo di Celestino V, sul monte Morrone, che si scorge dalla finestra aperta, quasi a voler trovare con lo sguardo conferma alle sue parole.

Per arrivare lì, la lunga strada pedemontana del Morrone attraversa le terre della devozione popolare al santo eremita e come un video – clip inquadra e tiene costantemente a vista, scoperta, la costruzione dell’eremo sulla grotta, a 651 metri, incassato tra i dirupi della Valle dell’Inferno e la forra di Colle della Scrima.

Attraversiamo i borghi, le frazioni, le case sparse, lungo la via che segna il confine tra l’area antropizzata a valle che si chiude a settentrione sulla Conca Peligna e quella spirituale, degli accadimenti prodigiosi, delle narrazioni miracolose a monte, che risale fin su i crepacci e le fenditure carsiche verticali dove visse fra’ Pietro: una cintura sacrale che sembra avvolgere la montagna fino alla chiesa diruta di Santa Croce, in vetta, a 1379 metri che raggiungeremo molte ore più tardi, in un trek lungo, da Pacentro, lungo tutta la dorsale, in quota, che scopre un paesaggio particolare.

Una ‘Terra di prodigi’, così si presentava ai taccuini dei viaggiatori dell’Ottocento: “Qui visse Pietro del Morrone – scrivevano – qui digiunava, si flagellava, pregava e qui fece diversi miracoli e ricevé la delegazione del Collegio dei cardinali, che nel 1294 gli annunciò la sua elezione al soglio di Pietro. . .”.

Fra’ Pietro del Morrone, il taumaturgo, con la capacità di operare i miracoli, come riportato “per bocca” dai testimoni del Processo di Canonizzazione del 1306, costituito da 320 “dichiarazioni”.’L’unica fonte autorevole – scriveva Giovanni Pansa nel 1894 – della vita eremitica e solitaria di Celestino V’.

Si racconta nei verbali di un fanciullo storpio e contratto nel ventre infine sanato attraverso la sua intercessione e della vista ridata a un bambino cieco; guariva un giovane da una piaga gravissima e, come riferiva Mediorato di Giovanni di Sulmona, di anni 55, (teste 39 al Processo), implorò San Pietro perché sua figlia sterile potesse diventare madre. Ebbe questa un figlio che chiamò Nicola. All’età di un anno e mezzo il bimbo si ammalò di scabbia. Mandato dal nonno alla cella di fra’ Pietro, per la moltitudine di gente presente il bimbo era stato passato di mano in mano fino a raggiungerlo. Pietro lo abbracciò e lo tenne con sé. Dopo otto giorni il bimbo guarì. Dalle strette avvitature del sentiero, che sembrano, guardate in alto, frustate della montagna, una donna vestita di nero risale verso l’eremo. Passerà davanti alla croce incisa sulla pietra che ricorda gli eremiti che fino al dopoguerra vissero di elemosina e di solitudine. Tra questi fra’ Pio; a lui, la gente della valle chiedeva di suonare la campana dell’eremo per “sciogliere le bufere”, la grandine d’estate sui campi; poi, infine, dal terrazzo dell’eremo scorgiamo la donna, che intanto lo ha raggiunto. In un antico rito liberatorio, prima di scendere a valle, lancerà i sassi raccolti lungo il sentiero nella valle dell’Inferno per scacciare “il male” e dirà: “Tanto distante và questa pietra, tanto distante possa stare il nemico mio . . .”.