Premio Nazionale di giornalismo ” G. Paone”.

Menzione speciale al giornalista Vincenzo Battista.

 

“La giuria ha esaminato gli elaborati nel più completo anonimato e soprattutto si  stupita della grande produzione di articoli e documentari inviati al premio”. Con queste affermazioni ha esordito il presidente della giuria, Filippo Anastasi Radio Rai 2, nel 5° Premio giornalistico nazionale riservato ai giornalisti e pubblicisti italiani e stranieri ” Gennaro Paone”, nel presentare i vincitori del concorso delle due sezioni : ” Quotidiani e periodici” e “Televisione” e le menzioni speciali, nella manifestazione tenuta a Roma il 16 dicembre 2004 , presso l’hotel Cirerone, promossa da Ecotur – In Fiera (la Borsa Internazionale del Turismo-Natura) e sostenuta da Italia Enit, Alitalia, Federparchi e Abruzzo Promozione Turismo. A Bruno Gambacorta per un servizio sul Tg2  andato il premio Sezione “Televisione”, mentre per la sezione “Quotidiani e periodici” il premio  stato attribuito a Riccardo Rolfini per un articolo sulla rivista mensile ” Turismo all’Aria Aperta”. Le menzioni speciali sono state date a Serena Giannico per gli articoli apparsi sul ” Il Manifesto” e sul quotidiano ” Abruzzo Oggi” e a Vincenzo Battista per un articolo scelto tra i 40 inviati della rubrica settimanale “Luoghi e Incontri” de “Il Messaggero”, redazione di L’Aquila, dal titolo : “Una storia che racconta cento anni” su Pacentro, ” per aver colto da un piccolo frammento di vita la storia di un’intera generazione di emigranti, suscitando interesse alla realtà di un piccolo centro. Curiosità e intelligenza”: questa la motivazione della giuria esaminatrice che ha sottolineato il valore antropologico dei pezzi presentati che svelano una piccola provincia italiana, dalla grande ricchezza delle realtà minori che costituiscono il patrimonio culturale nascosto di questo territorio dell’Aquila.

 

Questo un brano dell’articolo premiato. Pacentro, la montagna e il borgo della comunità.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

 

Quel giorno non si poteva praticare nessun lavoro; non si poteva lavorare il latte munto per fare la cagliata, “che era quasi un dono” per i pastori: una primizia, scremata dal formaggio; nessuno  poteva pettinarsi e non si poteva pulire l’insalata poichè anche la verdura si sarebbe ribellata e avrebbe fatto le rughe… Non si potevano rattoppare le vesti, altrimenti il giorno dopo bisognava sdrucirle. Per proteggere i passaggi coperti del paese, sotto gli archi, in quel periodo si collocavano i segni della devozione: piccole croci in cera, colorate in bianco e rosso. Raccontano, inoltre, che “quel giorno” una donna aveva cucito la “mantere”, la gettò via, in campagna, preoccupata dalla sua disobbedienza e da un temporale che aveva investito la zona. Il grembiule venne centrato da un fulmine. Una conferma che all’ “Ascensa”, il giorno dell’Ascensione, le cose, gli uomini, il lavoro contadino e pastorale entravano in stand – by, come dicono gli italo – americani in piazza, a Pacentro: “Tutto si bloccava per un giorno…”. L’Ascensione. L’incontro di purificazione tra le acque e la terra. E la terra, che tornava, dopo aver ricevuto la benedizione attesa, a germogliare in soli nove giorni.

Un Brano della Storia.

” Una Storia che racconta…”, ma che in definitiva costituisce una sorta di guida all’epistolario collettivo del paese, che si racconta dal 1860 al 1960, seguendo quei tratti distintivi e peculiari di vicende sociali ed economiche, non solo locali, come quelle del brigantaggio nella seconda metà dell’Ottocento, fino all’emigrazione degli anni ’60 del secolo scorso, che hanno segnato le biografie, i destini e la storia della comunità locale, ed oggi esce dall’oblio. ” Caro patre e cara matra – scrive intorno al 1895 Giovannino – vi scrifo queste poche riche per darvi le mie notizie, che io sto ben e spere che il Signore dia buona salute anco avvoi. Qui a Nova Iorca ho trovato una buona fatta che i mericani la chiamano giobba, faccio molta moneta e faccio semellane che ritorne a Pacentro. La baracca dove che io ci vive ngo un paisano di Anversa e un calabrese comoda e laffitte  pochi soldi. Ci sta pure la stufe a carbone, che sone come alle patane, ma sono nere, che le raccojjame vicino alla ferrovia quante antiame e remeniamo da zappare. Mante i salute a tutti e portate pure a Virginia che sembre la pense a essa. Avvoi un fortisime abbracce del vostro figlio Giovannino”.