Testo e fotografia Vincenzo Battista.

L’enigma c’è, per le molte interpretazioni, ma resta fortemente evocativo, è il ritratto di papa Giulio II (1511 -1512) di Raffaello Sanzio, tavola 108 x 80,7 cm. E’, adesso, proviamo a chiamarlo come in una sorta di background mediatico inatteso, anche per la città di Bologna, parliamo dell’opera d’arte appena citata (e lo capiremo) allestita presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna: “Giulio II e Raffaello“ è  il titolo dell’esposizione di pezzi di notevole pregio e scuole di pensiero delle arti visive, che si racchiudono intorno all’opera di Raffaello nella visione di rappresentare la nuova stagione del Rinascimento. Tralasciamo i negoziati intercorsi tra il management operativo e intenzionale che ha dato corso alla lunga preparazione della mostra, e la National Gallery di Londra per la cessione temporanea dell’opera d’arte finalizzata al tracciato  espositivo della mostra di Bologna, tesa a ricostruire, soprattutto con questo prestigioso tassello, gli sviluppi del secondo Rinascimento, ma che riveste, tuttavia, nella sua progettualità un evento imperdibile in sé poiché, nella fattispecie, questo “prestito” che viene concesso solitamente nei grandi scenari delle capitali d’ Europa in materia di Beni culturali, è conferma che Bologna mette sul piatto un altissimo valore nelle credenziali offerte per potere ospitare ed ammirare il ritratto di Giulio II della Rovere in un eccellente percorso allestito. Raffaello lavora nelle Stanze vaticane, della Segnatura, intorno a quelle date. Mecenate del Rinascimento come nessun altro, papa guerriero, energico e combattivo Giulio II (il giovane Michelangelo fuori dalla sua tenda, e prima della battaglia, gli mostra i disegni mentre lui indossa l’armatura). Macchiavelli, nel “Principe”, e non può che amarlo, scrive che lui non si piegava a niente e a nessuno per i suoi fini…, iconico nella sua immagine pubblica ricorreva alle armi per i suoi diritti territoriali. Mentre Vasari scrive del ritratto dipinto da Raffello come “vivo e verace (attenzione a questo termine!) come se fosse davanti a noi”.

Nella pittura di Raffaello, l’abito talare bianco di Giulio II, plissettato in lino, scende fino al ginocchio e ha coronamento sulle maniche con tre bottoni nei polsini. È qui che Raffaello insegue il tessuto con le pennellate lunghe, curvilinee, facendo comprendere all’osservatore i giochi la luce che si insinuano nell’indumento e soprattutto la seduta e la veste che accompagna il corpo di Giulio II e, nel dettaglio, tra le ginocchia, si raccoglie in una naturalezza infinita, degna di un grande maestro. Nella mozzetta di raso rossa come le scarpe, bordata di ermellino, tenuto conto dell’assorbenza da parte della luce sull’indumento, con una gamma di rossi vermigli e toni cromatici declinati con il nero ma non acceso, Raffaello crea le pieghettature ideali che fanno “muovere” la stessa mozzetta indossata dal papa con il cappuccio. Lo zucchetto rosso, anch’esso bordato di ermellino, riveste il capo di Giulio II dipinto con una lieve luce sommitale. Simbolo della mano di Dio posta sul capo del papa, copricapo umile, pileolo (pileulus) a forma di cono portato dagli schiavi che ottenevano la libertà.

I pomelli nella spalliera della sedia – le ghiande dorate sulle quale scendono le ghirlande a frange dorate e di color rosso – presentano i simboli del casato che i Della Rovere (la quercia) usavano per ancorarsi al potere ritenuto di origine immortale: stemmi e figure allegoriche esprimevano la sintesi del messaggio subliminale di Giulio II, ma che la stessa Chiesa, nei precedenti pontificati, invitava a non mostrare ed evidenziare.

Il ritratto di Raffaello. Il corpo di Giulio II si appoggia sullo schienale, leggermente scende sul lato destro dove il gomito, sul bracciolo, sembra fermarne la postura, la spinta. La sedia è delle stanze private del papa, sembra di ciliegio e laccata in rosso porporato. Questa tensione del corpo declinato sulla destra ha il suo contrappeso nella mano sinistra che serra il bracciolo. Le mani del papa, candide, non invecchiate, sembrano di un altro corpo, in contrasto con l’età avanzata, dalle lunghe dita affusolate; mani di nobiltà, raffinate, di censo, di prestigio. Le dita con gli anelli evidenziati della casata dei Della Rovere e quello eminente papale del Pescatore (continuità dei pontificati). Le vene scorrono sul dorso delle mani, appena accennate, e in quella cromia Raffaello le mantiene tenue nei contrasti chiaroscurali, tanto che la mano sinistra sorregge elegantemente un fazzoletto di lino per asciugare la bocca, tessuto “bagnato” candidamente con tocchi sfumati di bianchi e grigi di grande maestria. Ma è il volto di Giulio II l’icona per eccellenza, il focus compositivo, “l’istantanea” per sempre bloccata, resa immortale, da un Raffaello che non lascia nulla al caso, tiene sotto tiro nei minimi particolari il ritratto nell’auspicio del naturalismo morbido e tranquillizzante, e di una analisi di antropologia religiosa spinta molto in avanti, quasi fosse questo volto sotto “inchiesta” per Raffaello, tanto è catalizzante il ritratto. Una effige da scrutare, decriptare, analizzare nel profondo, e quelle pennellate si rincorrono, morbide e quasi surreali per quei tempi, generate da chi sa quale pensiero divino, e danno infinità, perennità al papa. Gli occhi, nello sguardo di Giulio II, da decontestualizzare, sembra vogliano concedere al personaggio una sorta di soddisfazione per l’esistenza e le sue esperienze in vita, appunto della sua esperienza maturata: lui ha fatto un buon lavoro per la Chiesa, e adesso possono, quegli occhi autocompiacersi, meditare con lo sguardo verso il basso, a cercare umiltà, la terra degli uomini, la sua, che l’attende… La bocca è morbidamente serrata, le labbra sottili e nel verso plastico che si innalza lievemente ai lati della stessa, con le gote rosse tondeggianti incise dagli anni, la fronte cromaticamente di un’altra luminosità tenuta su valori e temperature pittoriche altre. La stessa luce non entra nelle orbite degli occhi, resta fuori, e denunciano una penombra meditativa in quegli stessi occhi vigili, guardinghi, a cui non sfugge nulla, attenti e presenti, con le palpebre che a momenti sembrano chiudersi per poi riaprirsi. Infine la barba bianca soffice, curata, pettinata e ritagliata nelle estremità, dipinta con cura nel segno – colore estremamente sottile che sembra muoversi e ondulare quella barba, fortemente pronunciata, “bagnata” dalla luce raffaellesca pensata e ragionata, e che proviene nel suo interno abitato dal papa, squarcio da un gettito di una fonte frontale, ma senza impetuosità, investe il corpo e la sedia, nella composizione leggermente ruotata nel proprio asse verticale, tanto da concedere un certo dinamismo e non far apparire statica l’intera icona celebrativa di papa Giulio II. La barba, sigillo di spiritualità, folta come nei filosofi greci, simbolo di saggezza e forza, identificativa della vita e del pensiero di un papa della Scuola di Atene con i suoi filosofi, commissionata a Raffaello Sanzio, mentre lui è al centro del pensiero e dell’universo. Il 21 febbraio 1513, papa Giulio II muore nella sua camera da letto.