Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

E’ la montagna il luogo della legge, che viene rivelata; scenografia dei patti, giuramenti, della memoria e delle risposte: “Vedendo che c’era molta gente, Gesù salì il Monte…”, e spesso della metafora, sempre più evocata nel rappresentare l’idea divina, la trascendenza, il sublime: “La Montagna di Dio”, il Monte Sinai. E’ il luogo del ritiro, la montagna, della silenziosa opera di ricostruzione del tempo trascorso, della ricerca, “santuario” eremitico del passato che sembra rincorrersi tra le cime, le balze rocciose, le vette che si scoprono lentamente nel cammino verso l’alto, con la dolorosa e a volte coraggiosa fatica dell’ascesa, tanto irrazionale e allo stesso tempo mistico profondo desiderio di gettare anche per un attimo gli occhi da lì, dalla vetta, che non è il punto di arrivo, la meta del cammino, ma spesso, l’inizio, la parte più difficile. “Le montagne non s’incontrano mai.” ma l’unica “immagine” spostata indietro nel tempo è quella della “Legge” che le unisce, il patto siglato sulle vette che accomuna il Vecchio e il Nuovo Testamento, e oltre, supera le barriere religiose, avvicina Atene a Gerusalemme, il mondo giudaico cristiano e il mondo greco. Platone considerava Minosse il più acuto legislatore dell’antichità, poiché si recava sul Monte Ida, a Creta, nell’antro di Giove. “La montagna chiede sacrificio e allenamento – disse Giovanni Paolo II il 20 giugno 1993, nel piazzale di Campo Imperatore – ma offre a chi ha il coraggio dell’ascesa gli spettacoli stupendi delle cime. Essa è pertanto una realtà fortemente evocativa del cammino dello spirito, chiamato a elevarsi dalla terra al cielo…”, ma anche di confessione, ammissione, tentativo di immateriale purificazione che ha cercato quell’uomo, con una lettera scritta, appoggiando il foglio sulle ginocchia, lasciata infine sotto una pietra sulla Cima Wojtyla (2420 m.) del Gran Sasso d’Italia, forse perché la montagna la potesse custodire e siglare; dalle parole meditate la lettera, laceranti, nella singolarità del paesaggio di cresta, in quota, che quella persona appunto ha voluto raggiungere a tutti i costi, per segnare il perimetro del suo tempo e le storie personali. Questo il testo. “Caro Gesù sono giunto su questa cima dedicata a Giovanni Paolo II per proporti un radicale cambiamento della mia misera vita. Dopo anni passati nella più totale dissoluzione schiavo del male servitore dell’egoismo, del demonio, del materialismo, della falsa testimonianza dedito all’inganno, servitore solo di me stesso, con il vuoto nel cuore e la solitudine dell’anima, ti prego insegnami come servirti con lealtà e rispetto; prendi il mio cuore avvelenato e trasformalo in un cuore dedito al Signore. Come uomo mi manca la forza di volontà, sia i mezzi per cambiare lo stato delle cose di questa società. Aiutami a ritrovare i valori della religione, della famiglia, dell’amore verso il lavoro. Tu che vedi la mia disperazione stendi la tua mano benevola su di me e guariscimi. Giovanni Paolo II, a dire il vero non ti conoscevo, non ti ho seguito nei tuoi discorsi, nei tuoi viaggi e mi dispiace profondamente visto come mi sono sentito il 2 aprile. Dall’alto di questa cima veglia su di me, prega per me e insegnami ad amare e servire Gesù secondo la tua grande visione della Chiesa”. L’acqua prima e le prime nevi poi, su quella cima, hanno “alzato” le parole, quella lettera si è aperta, lentamente, e in tanti frammenti ci piace pensare, le frasi sono state portate via dal vento, hanno viaggiato spinte dalle correnti, sparse sul Gran Sasso si sono depositate nei brecciai dei circhi glaciali, sulle tante vette, nelle valli, tra il silenzio e le voci arcane, il vento delle rocce, della montagna, che ascolta, vogliamo pensare. Piacerà sicuramente a Papa Wojtyla.

Le fotografie. Aeree. Corno Piccolo, Le Fiamme di Pietra di Corno Piccolo con il Calderone e Corno Grande.

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