Il racconto delle terre del grano. Un’altra storia da narrare a San Demetrio ne’ Vestini.

Lo spaventapasseri delle terre del grano realizzato a San Demetrio.

Fotografie e testo di Vincenzo Battista.

La madre del grano, Madonna povertà, cercava, china, vestita di nero, con le sue mani magre e affusolate che uscivano appena dalle vesti. Si era trascinata lì, curva, nei campi, dopo la mietitura, per trovare i suoi figli, le spighe di grano dei sette dolori e della povertà, che solo lei poteva raccogliere, dopo che i proprietari terrieri avevano ordinato di mietere e i coloni avevano ubbidito.  Poi toccava a lei, ma aveva chiesto il permesso, e si aggirava, tra le arse “respoppie”, Madonna povertà, per raccogliere quello che avevano lasciato i mietitori, gli avanzi ,del campo, le spighe, ancora calde, dal sole, sulla pianura delle “sette Ville”, nuclei urbani, ma non dei dolori, ma di San Demetrio ne’ Vestini, antichi insediamenti questi, pagus ,stanziali, distaccatisi come strutture familiari allargati, forse dalle citta di Aveja e Peltuinum che disegnano ancora oggi un paesaggio  dei beni culturali, significante e poco compreso della Conca aquilana. Si trascinava, guardava e raccoglieva le spighe, la madre del grano, come nei quadri di Teofilo Patini, il pittore degli “Ultimi”, verista abruzzese della fine dell’Ottocento, che dipinge,  il suo tempo e le sue genti, disarcionate dalle spaventosi condizioni di vita, senza diritti, e dalla schiavitù come regola di vita, dalla sottomissione senza nulla poter pretendere. E chissà, forse prima, quella donna, si era recata nella chiesa della Madonna dei Raccomandati a San Demetrio, davanti all’affresco omonimo del Cinquecento, divenuto un luogo dell’ex voto, della grazia ricevuta. Era rimasta lì, nell’intimità di un rito, il perimetro spaziale di protezione spirituale, mentre fuori  profitti e rendite ingoiavano il paesaggio delle genti dimesse. Non è una leggenda, ma è quello che avremmo visto, se catapultati, nel tempo,  in un tempo lontano nelle campagne aquilane, e nelle ricche pianure dei Vestini, dei campi aperti, sconfinati, coltivati a grano, in fondo la sua ricchezza.  Madonna povertà l’avremmo vista, così, nelle torride campagne del latifondo. Un’ombra, quasi immateriale, ma di un lascito antico, una sottile linea rossa che ha  attraversato lo spazio temporale, per arrivare a noi, e poi proseguire, chissà dove, nel nostro tempo, dentro luoghi, molto, ma molto vicini, tanto vicini da non conoscerli… Ma la storia del grano è un’altra, non certo questa, che non è mai stata scritta. La storia racconta i primati e il potere, racconta le conquiste. I contadini allora,  coloni dei proprietari di campi di grano, appendevano  dietro la porta dell’ abitazione dei proprietari delle terre, un mazzetto di sette spighe di grano, raccolte in sette campi diversi con lo stelo intrecciato. L’intreccio  era preparato prima del sorgere del sole, unendo le spighe di grano. Una tradizione forse, ma soprattutto una forma di ossequio, che aveva il fine di assicurare al padrone dei campi, come se non bastasse, un buon raccolto e a tutta la sua famiglia prosperità e salute. Il primato e il potere. Il passaggio dagli antichi grani alle moderne varietà ebbe inizio negli anni Venti con le moderne tecniche di selezione, intese a trovare un tipo di grano con una maggiore resa. Il fautore fu il Senatore Cappelli e dei suoi agronomi, che riuscirono in una resa di 18 quintali per ettaro, così il grano dominava i campi, inizialmente sperimentali nella campagne di San Demetrio, poi nel sud Italia, con il suo metro e 70 di altezza e le sue spighe scure. Ma le spighe alte tendevano a sdraiarsi, con vento e pioggia. Tanto che la mietitura divenne sempre più difficile, con le macchine, ma non certo la quantità di grano ricavata, un vero miracolo economico senza precedenti per la memoria di queste terre di San Demetrio, sì la memoria, ma che sappia raccontare, senza commetter il peccato di voltare le spalle al tempo…

La preparazione dello spaventapasseri per le campagne di grano nel paesaggio di San Demetrio ne’ Vestini
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