Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

Verso le Sacre Ceneri. “L’ingresso”, Il varco, il passaggio obbligato nella penitenza e nel digiuno, ossia “il cambiamento”, la mortificazione, la contrizione nella Quaresima, “segna “, con questi iniziali auspici, il calendari liturgico: moderazione e semplicità nel cibo, digiuno e astensione dalle carni. Secondo i rituali del VII secolo in Roma, i penitenti confessavano le proprie colpe, e se gravi e pubbliche, ricevevano dal penitenziere, il sacerdote chiamato a compiere l’Ufficio, un ispido cilicio cosparso di cenere per portare a termine la pena, fino a Giovedì Santo (giorno della riconciliazione). La carne era umiliata, sanguinante, lacerata e strappata dal corpo, mentre le ceneri tratte dai rami d’olivo e dalle palme benedette dell’anno precedente venivano cosparse sul corpo: “il nulla”, la stoltezza e la superbia umana ricondotte a ragione, l’espiazione, il castigo della persona, il sacrificio del fisico si offrivano quindi allo spirito, supremo e assoluto; il ravvedimento, l’ammenda, tornava così a raccogliersi intorno alle effigi religiose, intorno ai canti delle litanie, intorno alle processioni d’assoluzione del cristianesimo. Ma prima delle Sacre Ceneri, realtà e metafora, sacro e profano si tentano a vicenda, tastano il “terreno”, mai così contigue si sovrappongono, e alla fine si mescolano nella sfrenatezza, nell’esagerazione, nell’inarrestabile festa popolare del carnevale: piacere misto a rabbia e sovversione s’impadroniscono del popolo officiante, i carni levamen, il sollievo della carne, la libertà degli istinti repressi, dal giovedì grasso al martedì (processo al re carnevale), i peccati e i mali dell’anno vecchio vengono condannati nel rovesciamento dell’ordine costituito. Riecheggiava, il carnevale, nei Saturnalia romani, le feste orgiastiche di fine dicembre in onore di Saturno (divinità romana protettrice dell’agricoltura) fino alla follia del padrone che si sottometteva allo schiavo, lo schiavo invece dominava la scena, si liberava da ogni predominio, ordine e disordine nel carnevale, quindi, ruoli scambiati, aspirazioni, brame e sogni: i ricchi si travestono da poveri e viceversa, le donne da uomini e viceversa, i professionisti da operai e viceversa, tutto si mescola: morte, diavoli, angeli e preti; carestie, pestilenze e guerre nell’irriverente happening della platea: scomposta creatività mista a ludica fantasia e infine timida realtà si inseguono. Ordine e disordine prendono possesso delle piazze alla ricerca del re carnevale, il re burla, da irridere e giustiziare, frutto proibito, apparentemente irraggiungibile, sotto i riflettori del grande palcoscenico il re fantoccio viene bruciato e infine il popolo, liberato da un’oppressione, torna alla normalità. “Re carnevale – scrive nel compito una bambina della II A scuola elementare del Torrione, L’Aquila – sovrano forte e potente, governava un vasto regno con saggezza e somma giustizia. Il suo palazzo era sempre aperto e chiunque poteva entrare nella cucina della reggia, fornitissima di cibi prelibati e saziarsi a volontà. I sudditi approfittarono del suo buon cuore e a poco a poco si presero tanta confidenza da costringere il povero re a non uscire più dal suo palazzo per non subire più beffe e insulti. Egli allora si ritirò in cucina e lì rimase nascosto, mangiando e bevendo in continuazione. Un brutto giorno, però era sabato, dopo essersi abbuffato più del solito cominciò a sentirsi male. Grasso come un pallone si ricordò di avere una sorella, Quaresima, che disse al re : “Ti farò restare in vita per altri tre giorni ma in cambio tu mi dovrai dare il trono”. In quei tre giorni il re si divertì da pazzi ma la sera di martedì, l’ultimo giorno, morì e Quaresima si prese il trono. Era severa e non faceva entrare nessuno al castello ed impose le leggi giuste”, nel nuovo giorno, nel nuovo tempo… che aspettava però il carnevale.

Fotografie. Il carnevale a San Demetrio né Vestini.

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