Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

Ringhiosa, stridente, inconsueta la frenata, come se la littorina si fosse alzata, sulla propria gobba, e subito, fosse ricaduta sulle rotaie con un sobbalzo, inchinata, per poi bloccarsi davanti a qualcosa, ad un incontro soprannaturale, un ”incontro” ravvicinato del terzo tipo, come nel film del 1977 diretto e sceneggiato da Steven Spielberg, nel quale viene narrato un possibile primo contatto tra l’umanità ed entità extraterrestri. Fuori, intanto, in quegli attimi, l’alba attesa sembra rinviata in questa sorta di tundra invernale gelida, ammantata di neve e illuminata a tratti dalla luce, dal bagliore che fuoriesce dai finestrini del treno, così il paesaggio si intravede e a fasci riflessi si distende, si allunga, apparentemente inanimato, calmo e fermo, antico, misterioso della media Valle dell’Aterno, ma che potrebbe essere un domicilio di un sogno, una visione onirica, un incanto. Ha scritto un grande poeta: “Fuori, conoscere un punto di vista inconsueto e cercare angoli inaspettati; dai desideri e dalle paure, ci sarà il dono più grande”. Ma torniamo a quello che inizialmente era una cronaca. La pianura di Beffi, frazione di Acciano, il treno è ormai fermo avvolto dalla nube di diesel. Ma un’altra, di vapore, bianca, sbuffa dalle narici umide: il fiato, caldo, di un cervo, maschio e adulto, lo avvolge come fosse un’aureola sacrale, messaggero degli dei secondo i popoli celtici che consideravano quell’animale soprannaturale. Qualcuno dirà poi, che senza scomporsi, il cervo si è tolto dai binari ed elegantemente, incurante, si è spostato mentre inquieto davanti noi batte la neve con lo zoccolo, imponente abbassa e muove la testa con la corona dei palchi (le corna), le fa ruotare, muovendole come un trofeo, segno di potenza, di rango sociale (considerato re degli animali nel medioevo), e arma per la lotta tra i rivali e il dominio del territorio, spinge la massa corporea avanti e poi indietreggia: che spettacolo, che sfida, mito suggestivo ha attraversato il tempo e da un mondo antico, classico, Ovidio, nelle Metamorfosi, racconta di un giovane di nome Ciparriso ed un cervo particolarmente mansueto a cui si era affezionato. Ma durante una battuta di caccia, non riconoscendolo lo uccise per sbaglio con un giavellotto. Capito l’errore Ciparriso, afflitto e inconsolabile, chiese di essere a lutto eterno. Apollo cercò di dissuaderlo, non ci riuscì e infine venne trasformato in un albero millenario, il cipresso appunto da cui prende il nome con la resina del suo tronco che forma gocce simili a lacrime, conforto per i defunti e animale totem, il cervo, infine, di un angolo inaspettato . ..
Docente di liceo, scrittore e giornalista*

Fotografia. La littorina nei pressi della stazione di Beffi (Acciano).

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