Roio e L’Aquila. Il dronte e il demone dell’immaginario collettivo. Quando calano le tenebre sui borghi.

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Il 24 gennaio, la “Conversione di San Paolo” il rito e la festa a Roio- frazione dell’Aquila, ai bambini si diceva di restare in casa, non andare in giro la notte per il paese, poiché passava il dronte.

“Una bestia grossa come un elefante – raccontano – strisciava sceso dal cielo sulle strade del paese, e guardava finestra per finestra. Un anno – continua il racconto – una ragazza più coraggiosa delle altre volle aspettarlo. Al dronte, passando sotto un arco, gli cadde il berretto e la ragazza si offrì di raccoglierlo. “No, lo prendo io con la mia biffa!” disse il dronte. E lo raccolse con le sue lunghissime corna. Gli altri ragazzi che guardavano più lontano scapparono per la paura e quella ragazza, per lo spavento, morì…

Il dronte. Cerca le anime perdute, corpo putrefatto dalle lunghe ali metafisiche artiglia e fa penzolare le sue vittime (li abbiamo visti nel film “Il Signore degli Anelli”), sotto la sua ombra, le trascina nel vento umido di un mondo parallelo occulto e sanguinolento senza ritorno: la profondità del male, dei miti mai estinti e fatti propri nei borghi dell’aquilano e nella stessa città, come vedremo.

Dalla classicità dell’ellenismo, il dronte temuto dagli dei, fino al cristianesimo medioevale del bestiario che lo rappresenta nelle miniature, e poi con il surrealismo delle avanguardie del Novecento con l’inconscio, la paranoia resa iconografia combatte il dronte senza sconfitta apparente, creatura notturna cerca, plana sui tetti, scende nei vicoli, si incammina lungo le strade, strepita con i suoi suoni arcani, agghiaccianti e così si apre un varco alla ricerca delle vittime per divorarle. Signore dell’oscurità e dell’occulto, tema prediletto delle narrazioni verso i ragazzi irrequieti, figlio unico del demone degli abissi, inquietante viene liberato, viaggia nelle alture di Roio ed è talmente orribile, inenarrabili le tante leggende che lo circondano per la ferocia, quando le tenebre della notte si avvicinano: è sua l’eternità, è suo il tempo senza sentimenti, senza ragioni, tutto sembra volgere al peggio, senza speranza si raggiunge il punto culmine, ma poi il racconto termina, l’affabulazione e la narrativa occulta si spengono lentamente, tutto torna nella normalità…

Ma nella città dell’Aquila non entrava, così un racconto della tradizione orale raccolto alla fine degli anni ’80 del ‘900. Sibilava, volava basso la notte intono alle fortificazioni, invalicabili, bandite al dronte, narra la leggenda. Le mura della città che la circondano, il suo periplo protettivo ma molto di più per sbarrargli l’ingresso (forse l’antica stirpe delle genti aquilane tra il mito e la città di frontiera), respingerlo, arginare la profezia, un coacervo di male usciva dalle sue narici fumanti e si arrestava infine in aria, quando le prime luci dell’alba sulla città dell’Aquila mettevano, lentamente, fine alla sua leggenda.