San Giovanni, il guerriero predicatore di Capestrano. (Capestrano, 24 giugno 1386 – Ilok, 23 ottobre 1456).

Testo di Vincenzo Battista.

Interpretarla, la Sura, i capitoli del Corano, forse equivale al significato di sequenza, continuità, linearità del messaggio. Una difficile traduzione per noi, occidentali, poiché ogni parola, ogni verso, può dar luogo a interminabili discussioni dottrinali. La Sura 112 del Culto Esclusivo: “Egli, Dio è uno. Dio, l’Eterno. Non generò né fu generato, e nessuno Gli è pari che ha generato né è stato generato, e non ha eguale…” ne è una dei 114 capitoli del Corano, il libro sacro dell’islamismo, della recitazione, della lettura, costituito dall’insieme delle rilevazioni che Maometto (570 -632) affermò di aver ricevuto direttamente da Dio. Diede luogo ad una cultura antichissima e raffinata, quella dell’Islam, ancora presente nel Dna, nelle fondamenta della civiltà europea occidentale che acquisì e ne storicizzo la filosofia, le arti, le scienze, prendendo tutto quello che poteva dal mondo musulmano, tanto che lo stesso Federico II di Svevia nel XIII secolo, ne subì il fascino: diventò il “Colto arabo occidentale” anche in queste terre del suo dominio, tra il Tirino, Ofena e Capestrano: “la terra dei Guerrieri”, così scriveva Ettore Paratore citando la statua del VI sec. a.C. in pietra, del re Nevio Pompuleio e un altro simbolo, che fu certo un predicatore, sicuramente santo e forse un guerriero: San Giovanni da Capestrano. Sul sagrato del complesso francescano a lui dedicato, la statua in bronzo nella sua pura stilizzazione si modella su un gesto, divenuto un archetipo di difesa della cristianità, difensore leggendario e immaginario con le braccia alzate e il crocifisso proteso contro i turchi, i “pagani invasori” della diffusione ottomana. Giovanni da Capestrano si prodigò “raccogliendo eserciti per sterminarli, e collo stesso ardore si adoperò a domare la potenza e il furor dè Turchi” nella Crociata ( la nona a partire dal 1096) del 1456, e il suo epilogo con la battaglia di Belgrado in un Occidente ossessionato che credeva nella profezia dell’Anticristo, in quella visione messianica che aveva “invaso tutti i cuori” e li aveva gettati nello sgomento : i Turchi. Si riteneva che questi potessero dilagare nell’Europa delle corti e delle paure, impadronirsi del Mediterraneo, occupare le città cristiane, e operare una distruzione capillare della civiltà occidentale e delle sue genti. La crociata del 1456 dunque, la “vittoriosa”, un’impresa davvero eroica contro gli invasori alle porte di Belgrado e dell’Europa. Raffinato e colto teologo Frà Giovanni, francescano, figura di primo piano nella vita religiosa del XV secolo, studiò giurisprudenza a Perugia e divenne un travolgente predicatore insieme a San Bernardino da Siena ed al Savonarola, organizzatore e severo riformatore, diplomatico della Curia Romana e poi autore di una interminabile quantità di opuscoli e trattati. Guidò non solo spiritualmente l’esercito e i crociati ungheresi nella battaglia di Belgrado, reclutando anche da Legato Apostolico di Papa Callisto III, secondo le memorie di Giovanni da Tagliacozzo, contadini, gente povera, preti di campagna, studenti e frati, circa ventimila volontari, al confine tra i “due continenti”. Era il 6 agosto del 1456, “fra Zuan da Capestrana con un crocifisso, diede dentro alli nemici” è scritto nella “Historia Turchesca”. Il sultano Maometto II fu sconfitto e per 70 anni si allontanarono i propositi di invasione dell’Europa, la diffusione del Culto Esclusivo, la Sura e quelle milizie dei guerrieri giannizzeri e spai disposti a tutto nella conquista del paradiso, guadagnato con la morte in battaglia, “in un clima di tensione e di timore apocalittico, che il pericolo turco rappresentava per l’Occidente, nella paura del terribile, dell’ignoto che deve accadere. Così riemerge la figura dell’Angelo che sale dall’Oriente, identificata, ancora una volta, dopo San Francesco, in un frate minore, San Giovanni da Capestrano. Il sangue che spargono i combattenti contro i turchi, li rende simili a Cristo che ha versato il suo sangue per l’umanità; il segno del Dio vivo è costituito dal complesso di miracoli con il quale il Santo contrassegna ogni passo della sua predicazione” scrive E. Pasztor. Era nato a Capestrano il 24 giugno 1386, mori lo stesso anno della battaglia a Ujlak in Ungheria, “per l’inumano sforzo”, ma già era considerato un santo per i miracoli, oltre duemila, verbalizzati da testimoni e raccolti in un antico codice a Parigi, mentre a Capestrano, in provincia dell’ Aquila, sotto le mura del borgo, in un’aia, si conserva una pietra concava dove il giovane mangiava, e che alcuni torneranno a toccare, il 23 ottobre, anniversario della morte, nella semplicità della profonda cultura francescana.