Atti, documenti e leggende popolari intono al culto di San Massimo. Il 10 giugno dei mercanti in fiera nella città dell’Aquila. [Vincenzo Battista]

domenica 10 giugno 2012 08:00

di Vincenzo Battista

“Pigliavano un legno convenevolmente lungo e grosso – scrive Domenico di Sant’Eusanio in ‘L’Abruzzo Aquilano Santo, 1849 -1850’ – conficcato sopra quattro legni come quattro gambe, due da capo e due da piede, con due girelle attaccate dai capi per una banda, alle quali si avvolgevano le funi, e alle funi da una parte si legavano i piedi di colui che doveva tormentarsi il quale sopra il legno con le gambe aperte si metteva a cavallo, dall’altra parte di poi all’altra fune si legavano le mani di dietro la schiena fra se legate: il che fatto stiravano i carnefici le funi. E come lo avevano essi per le braccia e per li piedi a loro modo stirato, lo lasciavano così quanto fosse à giudici piaciuto: ovvero allentandogli di ordine loro le funi, lo facevano cader sotto l’aculeo pendente in aria da quelle medesime funi: ed il giudice, mentre in sì dolorosa maniera lo vedeva, soleva esaminarlo.”. L’aculeo, strumento di tortura, una sorta di cavalletto sul quale la vittima veniva allungata, a forza, fino a ‘stirargli’ il corpo, a spezzarne le giunture, narra così l’agiografia (narrazione di motivi leggendari) apocrifa (documenti non autentici) del martirio di San Massimo, vissuto e imprigionato durante la persecuzione di Decio, sottoposto a torture per l’appartenenza ad una famiglia cristiana, fino alla morte giunta il 19 ottobre 251 dalla rupe di monte Circolo (sovrasta l’attuale Fossa), e venerato poi dagli abitanti della sede episcopale di Forcona.

Con la costituzione della diocesi aquilana attraverso due Bolle papali della fine del 1256 e i primi del 1257, e della cattedrale intitolata ai santi Massimo e Giorgio (entrambi legati alla diocesi aquilana), la sede fu trasferita dentro la città sotto controversie, contraddittorie e dibattute interpretazioni tra fonti storiche, atti, documenti e leggende popolari che avvolgono il Santo e la storia della sua Chiesa, insieme alle date che mutano: dal 19 ottobre (scomunica delle persone che lavoravano durante il suo giorno commemorativo), al 10 maggio (ricorrenza trasferita dal vescovo nel 1360) e infine al 10 giugno, data che ricorda un prodigioso accadimento operato da San Massimo in occasione della visita dell’imperatore Ottone, ma emanata invece con i diplomi dei Reali di Napoli dell’anno 1361 poiché alla “Magnifica sagra cittadina” di maggio, i mercanti del regno non erano intervenuti numerosi alla fiera.

Mentre una stampa, un’acquaforte (20×24), che fa da prologo visivo al manoscritto di Mariani, rappresenta San Massimo Levita “Il principale protettore aquilano”, recita la didascalia che focalizza i passaggi, il racconto delle “scene” montate della sua vita leggendaria: l’estasi del santo in abiti vescovili in primo piano, con ai piedi la palma del martirio, incoraggiato da due putti che sbucano dalla nuvole; due uomini che si sporgono dalla rupe e indicano il corpo del santo, nel baratro, dopo il martirio, e infine due angeli che si compiacciono di reggere una città, Aquila, (G.C. Bedeschini nella prima metà del XVII sec., olio su tela, rappresenta San Massimo che regge la città) mentre sullo sfondo giganteggia una quercia, alta, solida, tanto che esce dal campo visivo del riquadro: è una di quelle secolari, che ancora oggi si trovano nella conca aquilana, testimoni del transito di avvenimenti, patrimonio di storie e leggende, di stagioni e memorie portate avanti dalla pietà popolare che non ha mai smesso di identificarsi con i miti religiosi dell’antica diocesi aquilana.

(Seconda e ultima parte)

[Fotografie © Vincenzo Battista. Le foto sono utilizzabili esclusivamente per scopi non commerciali.]