Storie del silenzio intorno al simbolo dell’8 marzo.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

Scendiamo dentro l’8 marzo: i commenti, le manifestazioni, le mimose, e dentro due brani in  “Ricette di vita” e “Frammento di donna” di Alda Merini (Milano1931– Milano, 2009), poetessaaforista e scrittrice italiana.

 

Ricette di vita

 

“O donne povere e sole, violentate da chi non vi conosce.
Donne che avete mani sull’infanzia esultanti segreti d’amore, tenete conto che la vostra voracità naturale non sarà mai saziata.
Mangerete polvere come io mangio polvere cercherete di impazzire e non ci riuscirete, avrete sempre il filo della ragione che vi taglierà in due.
Ma da queste profonde ferite usciranno farfalle libere”. Alda Merini.

 

Alcuni aforismi di Alda Merini

“Mi piace la gente che sa ascoltare il vento sulla propria pelle, sentire gli odori delle cose, catturarne l’anima. Quelli che hanno la carne a contatto con la carne del mondo. Perché lì c’è verità, lì c’è dolcezza, lì c’è sensibilità, lì c’è ancora amore”.

Beati coloro che si baceranno sempre al di là delle labbra, varcando il confine del piacere, per cibarsi dei sogni”.

Dio mio, spiegami amore come si fa ad amare la carne senza baciarne l’anima”.

 

Frammento di donna

Fragile, opulenta donna,

 matrice del paradiso,

sei un granello di colpa,

anche agli occhi di Dio,

malgrado le tue sante guerre,

per l’emancipazione…” . Alda Merini.

 

Un’emancipazione che colse in pieno una temeraria, audace esploratrice, fuori dagli schemi per quel tempo, giovane intellettuale e artista della società aristocratica inglese.  Estella Canziani.

A 27 anni visita l’Abruzzo, siamo nel 1914, nel solco della tradizione dei grandi viaggiatori inglesi dell’Ottocento e, con una rara qualità di lettura del patrimonio etno- antropologico, annota nel diario di lavoro sul campo, arricchito da tavole di disegno, i luoghi, gli incontri, le sensazioni del viaggio in Abruzzo, la forza in definitiva della descrizione letteraria ma soprattutto la realtà della donna “ Ho tentato di fornire – scrive nella prefazione del volume “Attraverso gli Appennini e le terre degli Abruzzi”- un resoconto il più possibile fedele, della vita e del paesaggio”.

 

Dal suo libro, un brano, una delle tante storie del silenzio sulla condizione femminile, un incontro, con Maria, a Mascioni, frazione del comune di Campotosto. “ Maria disse che non aveva avuto tempo di mangiare e che se lo permettevo avrebbe preso qualcosa e dato da mangiare ai suoi figli. Ella portò un piatto in cui versò dell’olio rancido, tagliò a fette dei pomodori mezzi maturi e ci mise del pane raffermo, acidulo, vecchio di un mese…”.

 

 

Stenti, altro che mimose!

E poi tre resoconti, brevi racconti sui patrimoni di tradizione ed espressione orali, autobiografici ( estratti da alcuni miei libri sull’Abruzzo), tanto da sembrare usciti da un libro di narrativa del liceo, modello verista fine Ottocento, di Giovanni Verga, sui contesti  sociali e sulla possibile emancipazione della donna e il diritto alla partecipazione nella vita politica, ma che invece descrivono fino agli ’60 del ‘900, un epistolario collettivo, dei chiusi distretti geografici delle zone dell’aquilano e la condizione femminile, storica, per provare a non dimenticare e forse a riflettere, perché queste parole non vadano perdute.

 

Lo zafferano. “ Ci alzavamo, arrivavamo sul terreno che stava per uscire il sole, coglievamo i fiori. Si raccoglieva il fiore dello zafferano a Navelli, dalle tre la mattina fino a quando usciva il sole con un contratto chiamato la “Quindicina” e noi venivamo dai paesi del Gran Sasso, a piedi. Noi donne rimanevamo per quindici giorni nelle famiglie dei proprietari. La giornata di lavoro veniva pagata con poco denaro. Alla fine della “Quindicina” ci davano in regalo un cesto con i prodotti in natura. Ti entrava “l’ancino” nelle mani per il freddo quando si raccoglieva il fiore. Poi si sfiorava lo zafferano a casa dei padroni  oltre la mezzanotte. Ci pagavano con poche lire e un cesto di prodotti agricoli. Il giorno che non c’erano i fiori da raccogliere, lavoravamo come lavandaie alla “pretola” con grandi tini d’acqua. Quell’anno si teneva la fiera dello zafferano. Mentre tornavo a piedi al mio paese, incontrai sulla strada mio padre e mia madre. Mia madre mi chiese se mi avevano pagata, se avevo i soldi per comprare un paio di scarpe a mio padre…”.

Il bosco. ”L’accetta nelle mie mani era come la penna di una maestra. A Secinaro, all’inizio del secolo, una donna andò in montagna da sola per fare i fasci di legna, era incinta e lì ha partorito il figlio in un grembiule. Si chiamava Giandomenico Maria Assunta, nata nel 1871. Noi donne di Secinaro partivamo la notte per andare a fare i fasci di legna in montagna. Tre ore di cammino per arrivare alla montagna, eravamo quattro, cinque donne. Non si dormiva mai, sempre a fare la legna, a prendere l’acqua e i figli li lasciavamo ad altre donne. Anche per andare a prendere l’acqua partivamo di notte. Di giorno si andava a prendere la legna nel bosco, la notte si andava a prendere l’acqua con le conche. A Secinaro le fonti erano scarse, e la gente, che era tanta, andava prendere l’acqua a Molina, Per andare a Molina si facevano cinque chilometri…”.

L’emigrazione   “Ai tempi dell’emigrazione gli uomini era andati via, c’erano solo le donne. I proprietari erano rimasti senza manodopera. Lavoravamo noi donne la terra insieme ai bambini. Dovevi prendere qualsiasi tipo di terreno che ti veniva dato. Non potevi scegliere. Lo ripulivi, lo “scassavi”, ci lavoravi come una bestia. Dopo tre anni, dopo che lo avevi messo in condizione di produrre bene, il proprietario se lo riprendeva, ti cacciava. Si lavorava anche a giornata dai proprietari della terra. Una giornata veniva pagata cinque lire. Alle volte il padrone ne pagava quattro o addirittura tre mettendo la scusa che lui comunque ti faceva lavorare tutti i giorni. Siccome non era facile trovare lavoro, dovevi sottostare…”.

 

Immagini.

Ritratto di Alda Merini di Ferdinando Scianna (womaninpower.it). Il libro di Estella Canziani, una stampa, e il ritratto della scrittrice. Una classe a San Demetrio né Vestini, immagine d’epoca, anni ’30 ca. ( Archivio Giuseppina Riocci). Area Conca Peligna, inizi ‘900 (Archivio Giuseppe Di Tommaso). Lo zafferano nell’Altopiano di Navelli: dal trapianto dei  bulbi alla raccolta della spezia con la  selezione degli stimmi. Il bosco di Secinaro, la raccolta della legna e il borgo. La Valle Peligna e San Benedetto in Perillis: il lavoro femminile e dentro le case.