Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Nata dalle acque nei cristalli lucidi e trasparenti immutati da secoli, Vera è lì, regina e cultrice della trascendenza, vivida e imparziale: separa la materia per poi unirla, dispone gli elementi, non li giudica. Nell’immediata periferia dell’Aquila, Vera sigilla il tempo con le acque, immortale e immutato nei secoli. Scorre Vera, si insinua nei solchi che scolpisce e gioca, supera le rocce, scivola nel suo letto che l’accoglie, ma solo per un istante, poi tutto muta. Vera è la tentazione, il desiderio di un corpo è sostanza, natura primitiva, di sottigliezza e tenuità, palpabile, ma che sfugge al tatto, le mani la cercano, non si possiede infine. Vera è vestita di luce mutante, è creatura solo per alcuni istanti, si plasma sulle sue acque, ma chi può guardarla ricorda i veli turchesi e cobalto, il suo corpo minuto che esce dalle acque fredde incuranti delle stagioni e di tutto quello che circonda il suo mito.